Egle Palazzolo
Morire vivendo. Lasciare la morte in stand by, quasi mortificata per il suo compito ineluttabile, di contro a una vita che, nel percorrere all’inverso il cammino verso un uscio solo, ha la possibilità di sottrarle, la bellezza, l’audacia, la genialità, il segno. È sensazione forte, e non l’unica, che raggiunge lo spettatore sin in fondo alla sala, sovrastato dalle lame di luce a diverso colore che lo coinvolgono in uno spazio senza tempo dove ancora una volta il dolore cerca misericordia.
Il Kaiserrequiem, la nuova creazione di Omer Meir Wellber e Marco Gandini con cui si è inaugurata la stagione 2022 -20023 del Teatro Massimo, è un momento di grande e intenso incontro musicale tra il Requiem in re minore K 626 di Mozart e il Kaiser von Atlantis di Viktor Ullman. Il fascino è nelle premesse:
la messa di Requiem fu l’opera che il compositore salisburghese non riuscì a ultimare per una morte improvvisa e aleggiata di mistero e Der Kaiser Atlantis che, composta tra le atrocità del campo di concentramento di Theresienstadt, precedette di poco la condanna progettata e decretata da Hitler di cui Ullman, più volte nelle sue opere, aveva richiamato, le nefandezze. Più che innesto, contaminazione, Kaiserrequiem appare fusione, amalgama: una creatività sola, fuori da date o distanze, scandita da una invincibile sofferenza individuale e collettiva. Se due sono le musiche che compongono la attuale versione di un’opera che è stata detta “una parabola sul contemporaneo”, due indirizzi di palese rispondenza realizzano il successo dell’evento: quelle del direttore artistico Meir Wellber e del regista Marco Gandini.
La realtà dell’opera, il suo essere teatro di livello alto, l’intensità di una musica che scandisce i giorni, che ne fa riconoscere la precarietà e la sfida, non cede a conforto, ma, si affida a consapevolezze che, ieri come oggi, esistono se e quanto la coscienza li avverte. C’è spazio per l’invocazione, per la preghiera all’Eterno.
Dio certamente, ma anche eterno come l’arte, la creazione umana, per ciò che resiste alla morte, che continua a dare giorni nuovi al genio dell’uomo. E indica che il Cielo può raggiungersi alzando le braccia, incrociandole nel movimento dei corpi, nel loro scatto frenetico, come nelle scene del corpo di ballo curate dal suo direttore da Sebastien Colau. Le braccia verso l’alto sono, dentro e fuori di noi. visione costante. E fanno leitmotiv laddove due autori iniziano e chiudono accompagnati da convinta ovazione un momento scenico compatto e dominante. Il cast è meritevole e nel nominarle singolarmente c’è il rischio di omissioni. Qualche nome: Markus Werba, Cameron Becker, Antonio Gares, Lavinia Bini, riconoscibile col suo caschetto, Greigory Skarupa, Giulia Rutigliano e voce narrante Karl Huml attori e simboli talora in due diversi ruoli. Per gli effetti speciali Filippo Scortichini, per le scene Gabriele Moreschi e per il coro Salvatore Punturo, per le scenografie e i costumi Stegmeir e Berriel. Ne andrebbero citati altri ancora perchè numerosi sono gli elementi che si intrecciano nel Kaiserrequiem, gioco creativo fra prospettive che si susseguono, tra passioni che trovano posto, tra pianto e ironia. E vale ripeterlo, in un dualismo nel quale l’esistenza scioglie nell’arte la sua stretta e si accaparra una vincente.
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