Rosalba Bellomare
La sede HUB vaccinale di Palermo si trova alla Fiera del Mediterraneo. Un tempo – negli anni ’60, ’70, ’80 – la Fiera rappresentava quel luogo magico dove espositori/commercianti/inventori venivano a proporre le novità, le curiosità, i piccoli elettrodomestici più strani, e più inutili direi, dove si correva ad acquistare per poi dire tra le amiche: “anche io l’ho comprata alla Fiera”. Oggi è ridotta ad un enorme spazio senza destinazione con grandi capannoni degradati e ad ogni campagna elettorale il leader politico di turno lancia la sua idea macro di risanamento, in genere una proposta balorda e ghiotta per gli speculatori del territorio. Oggi, in questo luogo dove tutto è rimasto come negli anni del boom palermitano ma degradato per l’abbandono, varcando la soglia hai la sensazione di entrare in un asteroide del disordine, del caos, anche se tutto dovrebbe funzionare alla perfezione per la quantità di civili trasformati in volontari che si presentano già agli ingressi vestiti da divise militari con tanto di sigle ed etichette fiammanti, con la faccia burbera e attenti osservatori di regole e ordini che non sai chi le emana.
Entri e si presenta ai tuoi occhi il pianeta Papalla. Ricordate il Carosello che pubblicizzava gli elettrodomestici Philco? Gli abitanti di questo pianeta erano tutti sferici come palle bianche e questo bianco prevale nei vari gazebi della Fiera, dove si muovono personaggi vestiti da scafandri e maschere e guanti e strati di plastica in viso ai piedi alle mani, armati di bastoncino per verificare se sei un untore o meno. Attorno file e file di auto, serpentoni stretti attorno ai gazebi, ad occhio non capisci dove inizia e finisce il serpentone di auto, militari, uomini, donne della protezione civile, e tutti ad urlare, passa di qua vai di là – sempre con tono militaresco – perché quella zona è destinata al “drive-in” e se non possiedi l’automobile non puoi entrare o non potresti metterti a turno. Ma, come sempre succede, invece tra le aree invase di automobili e dall’aria pessima per i motori delle auto sempre accesi, scorgi un piccolo gazebo riservato ai cosiddetti convocati. Chi sono i convocati? Non si riesce a comprendere, finché dai comportamenti di chi è a turno capisci che c’è un elenco dei convocati che dovrebbero essere i dipendenti delle scuole. Forse, ma non è esattamente così, con il passare delle ore apprendi che si chiama lista dei convocati e di chi si prenota on-line, e che il gazebo è presidiato da un burbero medico volontario – dall’aspetto capisci che deve essere in pensione, rinvigorito dall’emergenza pandemica – anche lui vestito con divisa militare pluridecorata. Se dici che hai urgenza e presenti la prenotazione, dopo una lamentela e facendotelo pesare come una cortesia straordinaria, ti inserisce per il tampone rapido.
Il giorno in cui decisi di vivere l’esperienza fantastica del tampone all’Hub della Fiera del Mediterraneo in fila con me c’era una donna con due figli, che si notava perché non autoctona, sicuramente proveniente dall’estremo sud del mondo. Con un viso preoccupato e smarrito, ignara di regole o prenotazioni da presentare, non parlava bene la nostra lingua e sperava di poter fare il tampone insieme ai suoi figli, ogni tanto si rivolgeva a questi strani personaggi della protezione civile e loro alzavano le braccia. Ero curiosa di capire che difficoltà avesse, ma non avevo il coraggio di chiederle, non volevo apparire invadente.
Ad un tratto si allontana chiedendomi di accudire i suoi bambini, lo faccio volentieri ed ancora non comprendo la sua difficoltà, arriva il loro turno e i figli in assenza della mamma mi dicono di andare avanti; nel frattempo lei arriva e io dico al medico volontario anziano e rinvigorito dall’emergenza pandemica che era il turno della signora, la quale timidamente e con un italiano incerto spiega che dalla scuola le hanno indicato di recarsi alla fiera per il tampone perché diversi casi di contagiati si erano sviluppati nella classe del figlio minore. A questo punto il medico pensionato volontario rinvigorito dall’emergenza pandemica espande il suo petto vigoroso e pluridecorato e chiede rivolgendosi con un tu sprezzante: “Hai la prenotazione? Hai stampato la prenotazione?” La donna impaurita e smarrita risponde di no e non capisce di che modulo si tratta, a scuola le hanno semplicemente detto: “Vai alla fiera e puoi fare il tampone gratuito”. Il medico alza il suo tono di voce e urla: “ALLORA VAI VIAAAA!”, cacciandola dall’inferno del pianeta Papalla, che si trova a Palermo città dell’accoglienza.
Angela (il nome è inventato), travolta dalla mortificazione, scappa con i suoi due figli, provengono dal Ghana e non hanno un computer, non sanno neanche cosa sia una prenotazione on-line. Forse anche a scuola potevano aiutarla a non vivere questo momento di disagio con migliaia di gente attorno, cacciata via dal pregiudizio che il colore nero della sua pelle si indentificasse con il peggiore dei virus, non appartenente alla razza umana.
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