Margherita Celestino
31.12.2022
“I love thing that look like mistakes…”
Frances Ha
È passato quasi un anno dalla prima volta che ho pubblicato una puntata su Mezzocielo.
All’inizio doveva essere una puntata la settimana.
Poi è diventata una puntata al mese. Poi è diventata una puntata ogni volta che gli astri si sono allineati al mio umore e le mie dita alla tastiera. Non è facile essere costanti nella scrittura.
Non è facile essere costanti in generale in qualcosa.
Nessuno ha detto che sia facile. Non deve esserlo.
A volte desidero con tutta me stessa che le cose siano un po’ più naturali.
Poi penso a una frase che ho letto di Antonin Artaud: ““Il bene è voluto, è il risultato di un atto, il danno è permanente.” Ecco che mi sbagliavo.
Ogni istante è una scelta. Forsenon ci sarebbe neanche bisogno di tutta questa autocoscienza per muovere i primi passi in una giornata, eppure è sempre lì questa incessante domanda che mi strangola e non mi molla dal mattino alla sera: “perché?”.
Il sole sorge, mi tocca la pelle del viso e mi dice che devo farmene qualcosa di me.
Qual è il motivo per cui mi alzo ogni giorno?
Ecco che seppellisco la testa sotto al cuscino. Mi ricordo che non mi lavo i capelli da più di una settimana, ho trovato il mio scopo: lavare i capelli, alleggerire i pensieri e poi mettere il disgorgante nei tubi.
Questa casa è diventata una seconda armatura, l’espansione del mio corpo. Pulisco me, pulisco il lavandino, non fa nessuna differenza.
Quand’ero piccola,tra me e me, prendevo in giro la vicina di casa di mio padre perché passava le sue giornate a pulire i vetri delle sue finestre. Mi chiedevo come le bastasse ripetere queste azioni ogni giorno per vivere e poi… perché pulire il pulito?
Se mi proietto in un futuro che non vorrei, sono io quella vicina di casa. Oggi capisco che pulire e mettere aposto sono le prime cose da fare quando sei depresso. Ti da un senso di utilità anche se sai che è illusoria.
Per fortuna non mi basta.
Continuo a preferire il disordine gioioso di quando sono veramente me.
Tornerà?
Stasera mi hanno invitata a due cene. Sono rimasta a casa. Tra i due litiganti la terza sta digiuna. Non ho voglia. Ho tanti amici. Le persone non so come mai mi vogliono così tanto bene. Forse è il bene che ho dato in giro in questi anni che mi sta ritornando indietro come un boomerang. Sono una giver. Lo sono sempre stata. Ma ora sono io che manco a me terribilmente.
Tornerò?
A un anno dalla prima apocalisse su Mezzocielo posso dire che sono piuttosto dispiaciuta di non aver toccato grandi rivoluzioni. Di aver parlato di cose piccolissime se non inesistenti. Di non aver detto chissà quali grandi verità. Di essere rimasta qui, in un angolo ad osservare quello che succede anche quando non succede proprio niente.
Mi sento la regina delle cose invisibili, cioè di quelle che sono date per scontate, a cui nessuno o quasi nessuno fa troppo caso.
Avere uno spazio pubblico su cui condividere i propri pensieri non è una cosa che capita tutti i giorni eppure a volte mi assale la paura di sprecarlo.
Potrei parlare delle guerre, delle cose terribili che accadono nel mondo, del cambiamento climatico, di quanta paura mi ha fatto questa tempesta di neve che c’è appena stata in Ontario; potrei interessarmi di più al mondo, potrei parlare di cose che stanno al di là della mia porta di ingresso che è anche la mia corteccia prefrontale.
Non mi muovo da qui.
È come se stessi covando qualcosa da tutta la vita, così monitoro la polvere e nel frattempo spero che i miei interlocutori e interlocutrici capiscano che non lo faccio per noia o per disinteresse, ma perché quando devi imparare da zero ad amare te stesso, anche una buona colazione preparata di prima mattina e una spremuta d’arancia, fanno parte di quella rivoluzione interna che si chiama prendersi cura di sé.
Ogni tanto mi chiedo, perché condivido cose così intime?
Provo ad elencare alcune risposte…
Per togliermele di dosso.
Perché io sia solo una delle tante e possa sparire del tutto dietro le cose che osservo. Questa bottiglia, questo tavolo, l’orologio della cucina fermo alle otto meno venti da più di tre mesi.
Per incontrare altre anime in fuga dalle fiamme e correre insieme per un pezzo di strada.
Per dare senso al vuoto, che non significa per forza riempirlo.
Per tessere una rete di benevolenza tra chi appare e chi,ogni tanto, sparisce.
Per trasformare la merda in piccoli fiori da mettere sui propri balconi o ancora meglio, nelle strade del mondo.
Perché non siamo soli e siamo sempre soli.
Ognuno irradia il mondo come può.
A volte c’è molto freddo, altre il calore è tanto che non si vede niente.
Mi isolo e nel mio isolarmi continuo anche a farmi isola per gli altri e siccome credo nell’arte magica della reciprocità, che, come se fosse una disciplina universitaria,sto cercando attivamente di imparare, riporto qui un pezzettino di “Tutto sull’amore” di bell hooks ancora una volta:
“l’amore di sé non può svilupparsi nell’isolamento. Non è impresa facile amare sé stessi. I semplici assiomi che la fanno sembrare facile possono solo peggiorare le cose…vivere in modo consapevole significa porsi in atteggiamento critico verso sé stessi e il mondo in cui si vive, avere il coraggio di porsi le domande fondamentali: chi, che cosa, quando, dove e perché…disolito è grazie alla riflessione che chi non è riuscito ad accettarsi decide di smettere di dar retta alle voci negative che dentro e fuori di sé continuano a rifiutarlo e svalutarlo”.
Domani è l’ultimo dell’anno e io ho una marea di buoni propositi suppongo.
Il mio capodanno ideale lo passerei con Frances Ha (personaggio dell’omonimo film di Noam Baumbach) in un appartamento a Parigi a montare una coreografia sugli errori più simpatici che abbiamo fatto negli ultimi dieci anni e poi la dedicherei a tutte le giovani donne che si sentono già vecchie, ma non sono ancora nate.
Con un sorriso verso tutti gli sbagli e nessuna pietà verso gli sbadigli, è ora di amare profondamente ogni cosa se lo meriti.
Buona fine e buon nuovo inizio anche a te, caro diario.
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