Cinque scene sull’andare
Margherita Celestino
Prima transizione/Palermo- via Alloro:
Lunedì 26 settembre 2022.
Uno dei giorni più bui degli ultimi tempi.
Soffia vento fascio, ma il sole resiste e mi tocca la pelle.
Sento la temperatura, prendo contatto con i miei pensieri che dicono: “adesso più che mai creare sarà l’unica soluzione per sopravvivere”.
Resistere è creare.
Questa affermazione si traduce in me così: “un giorno senza danzare è un giorno perso”.
Fine dello pseudo-sillogismo.
A capo.
Ecco un altro giorno perso a fare colazione come se fare colazione sia già un guadagno di per sé. Traduco colazione con “anche oggi mi sono alzata, ce l’ho fatta” e poi festeggio l’evento bevendo prima l’acqua e poi il caffè molto lungo.
Sento la voce di Bob Marley provenire dalla radio del bar in cui, con la mia amica Sara, chiacchierando facciamo scivolare il tempo della colazione fino a quello del pranzo.
Bob canta “stand up for your rights” mentre siamo tutti seduti a mescolare cappuccini inaugurando una nuova giornata.
È successo tutto, ma non è cambiato niente.
Seconda transizione/Roma-Pigneto:
Mi sveglio e dalla finestra arriva un freddo pungente di metà settembre che fa venire il buon umore tipico dei nuovi inizi. È autunno.
Il nuovo è sottolineato dal profumo di bucato che sento mentre scendo le scale per andare a fare colazione fuori. Spero di rinnovarmi anch’io quest’ anno. Cancello “spero”. Mi rinnovo. Cambio pelle. È una decisione concreta.
Arrivo al bar Burro un po’ per caso. C’è una lunga fila e fila può a volte essere sinonimo di qualità. Decido che è una di quelle volte.
Mentre aspetto il mio turno mi cade l’occhio sullo schermo del cellulare di una ragazza.
Sta cercando la traduzione dall’inglese di “to go” forse perché chiederà qualcosa da asporto. Il traduttore automatico lo traduce con “andare” ed io, che non c’entro niente, lo prendo come un suggerimento.
Terza transizione/Roma –Stazione Trastevere:
Sto andando a trovare la mia amica Donatella che una settimana fa ha compiuto ottant’anni.
Di fretta i passanti salgono e scendono le scale della stazione Trastevere, vanno tutti da qualche parte. Sono anche io nel mio andare, ma ci sto dentro con troppa cautela.
Mi chiedo cosa succederebbe al mio corpo e alle persone dietro di me se improvvisamente mi fermassi su un gradino per farmi attraversare dal movimento degli altri.
A questo pensiero le mie gambe frenano ed io mi sento bene, perché ho letteralmente preso posizione. Le persone che mi passano accanto generano un vento confortevole.
La loro pelle può toccare la mia di sfuggita, questo basta a farmi sentire parte di un tutto
più
grande.
Il mio ginocchio sinistro cede, il piede avanza, il bacino si sposta e riprendo volontariamente a mettere un passo davanti all’altro con la sicurezza, stavolta, di non essere da sola.
Quarta transizione/ Roma – Scalinata del Tamburino:
La scalinata del Tamburino mi emoziona perché, se la guardi da lontano, sembra un muro di una fortezza invalicabile.
Più cammini su viale Glorioso e ti avvicini alla scalinata, più lei si accorcia e diventa possibile, percorribile.
La scala ti accoglie e ti invita a salire, a prendere la vita un gradino alla volta, ad avvicinarti a ciò che sembra irrealizzabile, ma in realtà è solo fisicamente lontano.
La traiettoria va organizzata (anzi, organicizzata!) lasciando spazio all’imprevedibile.
Un passo dopo l’altro e finalmente posso guardare il panorama da lassù.
Si vede un pezzo di Roma e il cielo è tutto attorno.
Nuvole rosa mi abbracciano nel nuovo orizzonte della gratitudine.
Quinta transizione/ Palermo – autobus molto affollato, linea 101:
Sto accompagnando il mio migliore amico gatto dal veterinario. È il suo penultimo giorno.
Lui così leggero ormai da non farmi sentire nemmeno il peso del trasportino sulle mie gambe. Un bimbo con occhi giganti e blu si tiene al palo giallo e guarda il mio amico Woody.
Guarda me. Poi riguarda dentro il trasportino. Sgrana gli occhi. Mi sorride senza sorridere ed è così che ci siamo capiti.
Sempre intenso