Egle Palazzolo
Quando noi siciliani parliamo di noi, della Sicilia, con sincerità, con coraggio, con la disperazione che più volte ce ne viene, quando ciò che sta dentro la nostra terra infimo o eccelso, riusciamo ad intenderlo, a collocarlo, allora può dirsi che facciamo Bingo! E bingo ha fatto in pieno Vincenzo Pirrotta con “Spaccaossa”, suo film opera prima. Una esperienza quella del cinema in prima persona, che evidentemente lo sollecitava, rispetto a un curriculum di attore e regista teatrale di vivido e ormai conclamato successo. Ha cominciato assai giovane Pirrotta col suo fisico imponente, la sua multiforme attitudine alla scena, la sua capacità di apprendere da “maestri” e rendere sempre più personali e riconoscibili mimica e gestualità, e proprio in mezzo del cammino, si misura col cinema firmando con mano sicura una nuova e non facile pagina. Non facile perché Pirrotta si cimenta con una vicenda reale, inchiodata da squallore e sofferenza, da corruzione, violenza e morte.
Con una cronaca amara e raccapricciante che venne fuori a un tratto e che Pirrotta confessa di non aver più dimenticato negli anni seguenti: un gruppo di furbi e cinici delinquenti si erano inventati un articolato piano per fare soldi sulla pelle, e proprio il caso di dire di gente debole e indigente capace di accettare decisioni estreme, come quelle di farsi spaccare le ossa per simulare un grosso incidente che le assicurazioni dovevano ripagare di conseguenza. Una banda organizzata, con rigide gerarchie, e compiti accortamente distribuiti garantiva loro una somma di denaro, certamente la più esigua rispetto ai loro consistenti introiti. Nessun ostacolo burocratico, degenze brevi in ospedale, personale individuato e contattato per tempo senza timori, incassi ottenuti senza fatica. Qualcuna in più la faceva, esponendosi anche, chi era addetto a reclutare le vittime consenzienti. Nel film il ruolo lo assume per se, assai bene Vincenzo, proprio Pirrotta che tiene sullo schermo il suo nome e forse non a caso. Parla poco, sorride poco e si rivela presto il solo componente del gruppo, più umano e più coinvolto in ciò che fa e vorrebbe non fare. A conti fatti è anche lui una vittima consenziente che per denaro accetta, se non di farsi massacrare il corpo, di farsi massacrare la coscienza.
Nella narrazione la sua figura è quella del protagonista come lo diviene fin dalle prime sequenze quella di Luisa, la povera ragazza sola e drogata alla quale la malasorte non toglie generosità e che Selene Caramazza interpreta con grande efficacia. Se Spaccaossa è storia di esecrabile violenza, di essa non si avvale il film per effetti di alcun tipo. La violenza corre nel corpo dell’intera narrazione e investe tutto e tutti. La miseria e il dolore si toccano, il contesto dannato si confonde con gli spazi vuoti, con le attese disperate. La vicenda riproposta si fa testo nuovo dove trova spazio una sorta di poetica dell’esistenza che sa farsi largo sino all’immagine finale: quella della ragazza coperta di stracci e collanine, che non è riuscita ad aiutare come voleva gli altri attorno a lei e che come in croce giace morta su una strada desolata.
Il film ha avuto riconoscimenti e successo già in tante città italiane. É opera che si pone con una identità senza compromessi. Al merito contribuiscono: una sceneggiatura egregia (Rosati, Picone, Ficarra), una fotografia coadiuvante (Daniele Ciprì), i costumi di Costagliolo, la scenografia di Lino Fiorito, una recitazione senza eccessi e sbavature resa da Ninni Bruschetta, Giovanni Calcagno, Simona Malato, Luigi Lo Cascio, Rossella Leone, Maurizio Bologna, Claudio Collova, Maziar Firouzi, Gabriele Ciciriello. Per dire infine di Aurora Quattrocchi Rory, capace di coadiuvare con la sua forza interpretativa il contenuto stesso della vicenda, e di un Filippo Luna che imprime al suo personaggio una essenzialità assoluta. Dunque successo pieno da Venezia e ovunque sia stato programmato Spaccaossa. Ed è con piacere infine che arriviamo ad un’ultima notazione: in questa storia perversa, a parte la crudele e ipocrita furbizia della madre di Vincenzo che di lei è succube, si coglie la differenza dell’operato di tre belle figure femminili; oltre quella indimenticabile di Luisa, quella della vedova di una vittima lasciata morire in seguito alle conseguenze della sorte subita e quella della compagna di uno dei capoccia del gruppo che mostra sin che può, la sua indignazione. Pensiamoci.
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