Egle Palazzolo
Mario Martone ci riconsegna una Desdemona donna vera e riconoscibile nel suo dolore e anche nella sua ribellione, in piedi, nell’inevitabile scontro con Otello uomo incapace di comprendere e di distinguere, di sottrarsi al male.
La sua fierezza, il suo orgoglio, il suo stesso amore per colui cui ha dato dedizione di amore e pietà dovrà soccombere al brutale accanimento che inchioda in primis, colui che lo esercita. E che lo isola per sempre e lo prostra, egli stesso vittima del suo atroce delitto, del piano ostile di un falso amico, faccendiere invidioso dell’altrui successo: IAGO.
Dalla indimenticata pagina shakespeariana alla splendida traduzione librettista di Arrigo Boito, figura primaria di una tragedia forgiata dalla ferocia del MALE che se, infine non coglie allori, si fa eterno disegno di empietà. È presenza iniziale, sottile e continua, si forgia elemento malvagiamente imprescindibile, manipolatore astuto di Cassio e di Rodrigo figure non proprio secondarie nell’allestimento dell’opera, come non lo è Emilia ancella di Desdemona che solo con un paio di battute lascia trasparire forte, il suo desiderio di giustizia e di verità.
In questa versione, inequivocabilmente, come del resto è dovuto, Jago si fa portatore dell’ombra nera che insidia l ‘umanità nel suo vario percorso: “vanne, la tua meta già vedo, il tuo timor”. E da qui il dissacratorio, incalzante “credo” che si pone chiave, sia pure non unica ma essenziale, per l’intera vicenda di fatalità e di morte.
Quando la lettura è rigorosa ed è attenta la finalità che se ne trae, è limpida, la messa in scena di una opera, anche di un’opera lirica, può liberamente farsi altra rispetto alla consuetudine: mutare tempi e luoghi, i costumi spazi e luci, registri vocali persino, pur rimanendo compatta. Scrupolosamente depositaria di quanto il genio di Verdi seppe esprimere, giunto ormai alla sua matura e godibilissima genialità e di quanto trascrisse e interpretò, con indubbio consenso di Verdi, Arrigo Boito.
Il teatro può essere una sfida, più volte vincente ma con a fronte un pubblico, suo indispensabile destinatario, pronto per, chiari motivi, al diniego o all’applauso, ma infine, anche suo malgrado, ricco di una esperienza non priva di significato.
Martone ha una sua indubbia bravura, una mano ardita e riconoscibile anche nell’accostare il passato al presente o soltanto confrontandoli, nel leggere, vita, dolore, coraggio, sotto ogni data di calendario o luogo di azione. Al cinema ne fece esempio “Teatro di guerra” ispirato a all’eschileo “i sette contro Tebe”. E in questa sua prova teatrale che arriva a Palermo 25 anni dopo “Lulù” che fu grande successo, si legge, scrupolosamente, il quadro generale, l’effetto che si vuole e il senso di cui lo si riveste. Di sicura raffinatezza in cartellone al teatro Massimo, un Otello che porta con onore la sua firma, a seguito di precedenti ed anche recenti edizioni altrove applaudite, cui contribuiscono la bravura dei tre interpreti principali: Barno Ismatullaeva, Yusif Eyvazov, Nicola Alaimo. Le scene di Margherita Palli, le luci di Pasquale Mari, il coro di Salvatore Punturo, il video di Alessandro Papa, e in primo luogo alla non facile direzione di Jader Bignamini.
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