Egle Palazzolo
Quanto è riconoscibile questa Norma venti secoli dopo! Davvero un pensierino a lei, come affascinante figura di donna, possiamo farcelo davvero. E sarà anche per questo che la rappresentazione dell’opera, in atto, nel nostro teatro Massimo, ottiene indiscusso successo. Certo le componenti tutte, dalla direzione orchestrale alla duplice regia, alle scene, ai costumi, alle luci, come e soprattutto da “il bel canto “che Vincenzo Bellini mise in conto in questa che rimane la sua opera più nota e forse la più lucidamente programmata, sono quelle maggiormente in risalto, ma, invertiamo la marcia e cominciamo dalla protagonista. Come dire: al critico musicale è congeniale più volte, dirla tutta sulla versione dell’opera lirica puntando su quanto è prevalentemente esecuzione musicale, più consueto resta allo spettatore, in generale, porsi di fronte all’evento teatrale, nella sua interezza. E a volte lo spettacolo lascia intendere nuovi esiti di una creatività che allarga i suoi dati. Norma si colloca autorevolmente nel tempo ed è un testo che traendo spunti e ispirazioni non solo su Alexandre Soumet ma su storie ancor più lontane, ritrova note intramontabili su un personaggio chiave e nella elaborazione che il grande compositore catanese realizzò in piena rispondenza con Felice Romani, suo librettista. È lei la sacerdotessa dei druidi, figlia del loro capo Oroveso, si pone nelle sue vesti, nel suo linguaggio, quasi sacra per ciò che rappresenta e che ordina si faccia, in onore degli dei con i quali, per suo tramite, il popolo si collega, E in questo, ed è stato colto, la cultura celtica, contiene certamente il bisogno, che è implicito per visibili aspetti nel nostro tempo, di conoscere quanto proviene e dall’alto viene ordinato. Norma, tuttavia che crede e insegna l’obbedienza e il rispetto delle regole e dei riti, sa di aver perso il riverbero della “casta diva “a cui innalza ossequio, perché innamorata di Pollione, per di più proconsole romano che protegge dal conflitto e dal quale ha avuto due figli che Clotilde, sua fedelissima ancella, accudisce in segreto. Sin dal principio della narrazione sapremo però, che Pollione, come lui stesso confida all’amico Flavio, è preso da grande passione per una novizia, Adalgisa, e dichiara di volerla ad ogni costo. Ma non sapremo tuttavia come intendesse cavarsela questo llustre guerriero, perché sarà la stessa Adalgisa che, nel disagio delle sue promesse di religiosa e il richiamo impetuoso di Pollione, che attraverso la complicità di Clotilde correrà a rifugiarsi in Norma. Bello certamente il loro canto, la commossa descrizione di femminili sentimenti che l’una rende all’altra in una sorta di facile intesa sino al rivelarsi di un nome: fatalmente lo stesso per entrambe. Dolore, pianto, atroce sorpresa ma nessuna accusa di Norma a Adalgisa ma anzi, solidarietà tra le due donne. Adalgisa non è tacciata da rivale ma anzi Norma che conosce le seduzioni di Pollione, sembra comprendere, all’inizio, quel che è tragicamente e accaduto. Ma a riportare tutto in sfera bassa, nel rivendicare per sé Adalgisa alla quale rimprovera la sua tempestiva confessione a Norma, nessun rimpianto o rimorso vero mostra Pollione per lei che gli ha tutto sacrificato. La sacerdotessa forte nel suo ruolo che vive una vita doppia, mostra la sua fragilità di donna quando quasi non vuol credere che possa esser definitivo il tradimento di chi riteneva indissolubile compagno. Plausibilmente attraversata da un sentimento di vendetta, di collera prova a dissuadere Pollione dalla sua fuga con Adalgisa, avendo convinta quest’ultima a ritenersi sciolta dalle sue promesse. Ma un Pollione ormai estraneo le grida contro il suo amore per l’altra o la sua decisione di morire. Ed è allora che una donna che ha perso la sua battaglia di umane passioni ritorna la grande sacerdotessa che riunisce il popolo e dinnanzi al padre stesso e all’amante in catene, rivela una verità: una donna ha tradito i suoi voti, ha intrattenuto per anni una indegna relazione con un nemico e mentre tutti sorpresi e furenti pretendono quel nome, che Pollione ancora vuole che sia risparmiato, Norma, grande nella sua resa, proclama il suo, si accusa totalmente tra il turbamento del popolo, la amarezza del padre e il grido di sorpresa e di ribadito amore di chi, si avvierà con lei al rogo che insieme li attende. Norma è, ripigliamo da dove abbiamo iniziato, una donna generosa che ha coraggio, determinazione e una laica consapevolezza della fede e della giustizia. Affrontando la morte cui ritiene di doversi condannare, salva l’altra donna, e con visibile trepidazione, affidandoli al loro nonno, i suoi due figli che, per un attimo, folle della sua sconfitta, avrebbe persino ucciso. E in definitiva salva lei, senza eroismi o esaltazioni. Per una fede ritrovata in sé stessa e nel cammino da ultimare. Dettagliata rilettura dei fatti. Ma Vincenzo Bellini è grande e amato musicista, mentre un testo più volte si subisce per amor di note. Norma resta invece personaggio, è donna, è, riesce ad essere una donna vincente.“La nostra Norma è ancestrale” hanno dichiarato Luigi Di Ganci e Ugo Giacomazzi, giovane il primo, giovanissimo il secondo ed entrambi siciliani. Hanno inteso probabilmente riferirsi ad una eco antica che si rinnova, che non si spegne. La loro regia, composta, scandita, non costruiva appigli ma richiami. Si è avvalsa delle luci di Luigi Biondi e altrettanto delle scene di Federica Parolini e dei costumi di Valeria Cernigliaro. A lei proprio il gruppo di lavoro riconosce il merito di aver pensato a un riferimento da fare a Marta Lai. L’artista sarda recentemente scomparsa, le cui direttrici di marcia lasciano spazio a una fuga da una vita di lacci e di confini, dove “purezza” può davvero assumere più vero e alto significato. Chiudiamo citando musica e canto. A cominciare dal giovane direttore d’orchestra Lorenzo Passerini assai applaudito insieme a un cast di prim’ordine che in prima serata ha avuto protagonisti eccellenti, come Marina Rebeka, Dimitri Korchak., Maria Barakowa. In alternanza con Desirèe Rancatore, Matteo Falcier, Lilly Gerstad. Chi era in teatro domenica sera, non dimenticherà impegno e risultato che la Rebeka ha offerto col suo “casta diva”. L’opera è in scena sino a domenica 23 con orario pomeridiano.
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Ottima recensione. Complimenti vivissimi a Egle
Ad uno spettacolo operistico eccellente dato dall’orchestra e dall’intero cast della Norma, vista da me domenica pomeriggio, ha fatto seguito lunedì la piacevole e interessante lettura della recensione di Egle Palazzolo. Egle osserva con occhio esercitato ed esperto e comunica con immediatezza, e talvolta sottile ironia, le sue osservazioni critiche aiutandoci così a mettere a fuoco la complessa personalità di Norma, il suo conflitto interiore, il coraggio delle sue scelte e del sacrificio finale. Puntuali le notazioni sugli altri principali aspetti dello spettacolo, comprese le luci, davvero coprotagoniste in questo allestimento scenico.