Deborah Pirrera 

Non amo i Thriller, solitamente non rientrano tra le mie letture preferite. Conosco alcuni classici del genere e ho avuto modo di apprezzarli ma non posso definirmi una intenditrice. Eppure so riconoscere quando mi trovo un buon libro tra le mani, anche un thriller. Uno di quei libri che ti fanno fare tardi la notte, che non vedi l’ora di leggere perché vuoi sapere come va a finire, incollata alla pagina, con i personaggi che ti parlano mentre sei intenta a fare tutt’altro, di cui credi di aver intuito il finale ma vieni costantemente spiazzata perché nulla è come sembra.  Il Dono di Paola Barbato è un libro bellissimo.

In un banale incidente un uomo perde la vita, all’insaputa dei suoi familiari ha lasciato scritto nel suo testamento il consenso alla donazione degli organi. Sette dei suoi organi, si tratta di un uomo molto giovane e in ottima salute, vengono trapiantati in altrettanti pazienti che grazie a questo dono  avranno modo di salvarsi, di continuare a vivere e di recuperare la salute. Valerio Felici, il donatore, da sempre è stato considerato un giovane allegro, spensierato, incredibilmente affascinante, sportivo; ma l’apparenza inganna, mai come in questo caso. In realtà si tratta di un serial killer che, neanche con la sua morte, cesserà di seminare dolore e sangue specie tra quelle persone alle quali ha, apparentemente, salvato la vita.

Paola Barbato nasce come sceneggiatrice di fumetti tra i quali Dylan Dog. Ha iniziato la sua carriera di scrittrice nel 2007 con il suo primo thriller Bilico. Da allora ha pubblicato molti libri di successo e, dopo un’incursione nel mondo televisivo e nell’editoria per ragazzi, il suo romanzo Il Dono che è uscito per Piemme lo scorso maggio

Prima ancora di leggere i suoi libri ho conosciuto Paola Barbato sui social di cui è una frequentatrice assidua. Ho usato incautamente la parola conosciuto. Ho conosciuto la parte di lei che vuole mostrare quella in cui ci racconta, madre di tre figlie ora adolescenti e di due cani, di una vita incasinatissima. Una vita fatta di montagne di bucato da smaltire, armadi da montare, giardini da ripulire, corsi ai quali accompagnare o andare a prendere le figlie, mail da evadere, una chioma folta e riccia da tenere a bada, treni in ritardo o da prendere al volo,  delle sue piante a cui dà nomi improbabili. Da qualche anno pubblica giornalmente  su Facebook tre ragioni per le quali è valsa la pena vivere quella giornata e invita noi lettori a fare altrettanto. A volte quelle tre ragioni tardano ad arrivare e io mi ritrovo  a chiedermi chissà come sarà andata oggi a Paola Barbato? A volte arrivano portandosi dietro l’affanno di una giornata che buona non è stata affatto e che per certi versi, nonostante non ci conosciamo e viviamo a chilometri di distanza vite diverse, finiscono col somigliarsi. Poi un giorno, commentando uno dei suoi post, mi sono ritrovata un suo messaggio in posta dove mi raccontava altri aspetti di sé, meno noti o affatto, mettendomi a conoscenza di alcuni particolari sulla sua vita privata. Non posso dire di conoscere Paola Barbato perché non si può dire di conoscere davvero una persona e meno che mai attraverso i social, ma posso dire con certezza che su quell’idea di umanità, cuore, testa, passione, di vita vera che pulsa dietro ogni sua pagina non mi ero sbagliata.

La raggiungo tramite mail perché, tra la sua vita incasinatissima e la mia, modo migliore non c’è per farle qualche domanda

Ne Il Dono quanto c’è di te nella figura femminile dell’ ispettrice Flavia Mariani?

Molto poco, era un personaggio nato in “Non ti faccio niente” con caratteristiche già molto nette che dovevano metterla in contrapposizione con l’altra ispettrice a cui si accompagnava, Pina Pautasso. Le ho dato una credibilità tenendola però distante da me, se non in un aspetto: la Mariani è rigidissima e integerrima e queste, purtroppo, sono anche mie caratteristiche.

In generale come lavori sulla definizione dei personaggi, così curata in ogni particolare? Tutti noi lavoriamo principalmente di osservazione. Ascoltiamo, rubiamo, abbiniamo persone lontane tra loro per caratteristiche comuni. Una volta che ho individuato quella che è la matrice principale del personaggio, cosa lo muove, quale sia il suo nucleo, lo sviluppo su una base di coerenza, perché in ciascuno di noi diversi aspetti del carattere sono derivati e concatenati.

 

Anche nei personaggi de Il Dono c’è una lotta continua, questa volta quasi fisica, tra il bene e il male che sono insiti in ognuno di noi. Cosa vuoi suscitare nel lettore, quale tipo di riflessione?

Niente più di ciò che è evidente, ovvero che nessuno è mai solo ciò che sceglie di mostrare, la parte più radicale di ciascuno di noi resta privata. E magari è una parte ottima, insospettabile, ma nessuno può dire di conoscere completamente un’altra persona. In molti casi non conosciamo approfonditamente nemmeno noi stessi.

 

L’idea che l’organo di un donatore porti con sé una parte della sua anima nel trapiantato nasce da te o ci sono delle teorie al riguardo?

E’ un dato di fatto che l’organismo ha abitudini e che quindi esiste una sorta di “memoria biologica” (per esempio un cuore giovane in un corpo meno giovane deve adattarsi a un ritmo diverso), ma in molti sostengono che dopo un trapianto avvertono nascere elementi nuovi (per esempio gusto che prima non avevano), come se parte dell’anima del trapiantato potesse essere migrata insieme alla porzione fisica. Ci si interroga a riguardo da sempre ed è un tema affascinante. Se poi ci addentriamo nella psicometria potremmo restare qui le ore.

 

E in ultimo Come fai a farcela? Dove trovi il tempo per fare tutto quello che fai? Il tuo segreto, se c’è

Non ho alternative. Quando non hai alternative le energie le trovi. Sono la classica rana che piuttosto che annegare nel latte si agita fino a produrre il burro.