Letizia Lipari

Mi faccio male mezz’ora dopo essere sbarcata a Pantelleria.

Sospetta frattura del quinto metatarso, mi mettono in attesa con un uomo dalla pelle scura e una ragazza incinta attaccata alla flebo. L’uomo si alza di continuo, indica il suo ginocchio gonfio e si avvicina per mostrarmi, sul cellulare, la foto del liquido giallo che gli hanno estratto dall’ematoma. Indica se stesso e dice “Sudan”, dice “Palermo”, dice altre cose nella sua lingua e poi anche “lavoro”, “macchina”, “figlio” – le sue parole sono isole troppo lontane l’una dall’altra perché io possa acchiappare la storia che c’è in mezzo, di come è finito, dal Sudan, su questo pezzo di roccia nera in mezzo al Mediterraneo (67 km di distanza dalla Tunisia, 85 da Mazara del Vallo) che si chiama Pantelleria. 

L’uomo indica il mio piede e il sacchetto di ghiaccio istantaneo, cerco di mimare la caduta col motorino – ora devono capire se l’osso è rotto, devono farmi una lastra e poi mandarla ad analizzare a Trapani. 

La ragazza spiega che ce ne vorrà – lei è fin lì dalla mattina per accertamenti, a turno son venuti tutti i membri della sua famiglia a salutarla dalla finestrella, per farle passare un po’ il tempo. Fino a cinque anni fa – spiega – si poteva ancora partorire a Pantelleria, ora no, hanno fatto pure una campagna per tenere aperto il punto nascite che si chiamava Per il mio parto io non parto. Ma alla fine non è servito a niente, e quindi è un casino, le toccherà affittare un appartamento a Trapani e trasferirsi per qualche settimana, quando sarà ora. 

“Maschio o femmina?”

La ragazza alza le spalle. Vedremo dalla morfologica, la settimana prossima. 

Ho lasciato lo zaino con i libri a Simone, con me non ho nulla per passare il tempo. Sul foglio dell’accettazione l’intestazione dice: “Poliambulatorio B. Nagar”.

“Chi è B. Nagar?” chiedo all’infermiere che controlla il livello di soluzione fisiologica nella sacca della mia vicina.

“È il nome di questo ospedale”.

“Sì, ma chi era lui, Nagar, o Nagàr? Chi era questa persona?”

“Signora, ma io che ne so”

Pantelleria è un’isola strana. Quasi deserta, alla fine di luglio. Una colata cristallizzata di lava nera, una bellezza sconvolgente, ma una bellezza brusca, tagliente. Nei giorni successivi esploriamo in motorino contrade coi nomi arabi, sobbalziamo su strade sterrate tra distese di vigneti. Attorno a noi i muretti a secco ricalcano le protuberanze e gli avvallamenti del paesaggio decorandolo come un ricamo. Boschetti che custodiscono sepolture bizantine e giardini di pietra che proteggono i limoni dal vento. 

Cerco un rifugio dove riposare, un angolo che non sia troppo ostile al mio piede offeso, e invece occorre sempre superare con fatica barriere puntute di roccia per guadagnarsi un tuffo nelle acque gelate, tra correnti riparatrici dove fluttuare senza goffaggine e senza peso. 

 

Bernardo Nagar era il podestà dell’isola durante il Ventennio. Ma era anche un ginecologo, uno che ai tempi in cui sull’isola c’era quasi un parto al giorno girava le contrade a dorso d’asino per visitare e far sgravare le partorienti. 

Nel 2018, poco prima che il punto nascite dell’ospedale B. Nagar chiudesse i battenti, a Pantelleria sono nati quindici bambini.  

Nel 1900, quando la popolazione residente sull’isola era un po’ più numerosa di adesso (intorno alle 8500 anime, oggi i residenti sono un migliaio in meno), i parti sull’isola erano stati 266. Nel 1800 erano 190, nel 1700 (quando gli abitanti erano circa 3200), 122. Molti di questi neonati morivano presto, ma tutti ricevevano il battesimo entro un paio di giorni dalla loro venuta al mondo. È tutto registrato nei libri dei battesimi delle tre parrocchie dell’isola, quella di Pantelleria, quella di Khamma e quella di Scauri. C’era un’attenzione maniacale affinché nessun bambino morisse senza battesimo. Scovo – tra le pagine ingiallite – dei fogli datati 1756 con le prescrizioni per i parroci su come trattare i casi di trovatelli, di aborti, di donne morte durante la gravidanza. 

Se una donna sposata moriva e c’era anche solo il sospetto che fosse incinta bisognava aprirle il ventre – vincendo se necessario l’opposizione dei suoi parenti – per cercare un alito di vita nel feto, che andava immediatamente battezzato. Anche se era solo un embrione, anche se sembrava morto.

Ogni paese, ogni villaggio doveva avere una ruota degli esposti, dove si potessero lasciare – in anonimato e in sicurezza – i neonati non desiderati, perché fossero curati e allevati a spese della comunità. Tra il 1761 e il 1768 a Pantelleria i “projetti”, i trovatelli, erano stati in sette. Pietra, Paola, Giovanni, Francesco, Agostino, Ignazio, Gaetano. Di questi, cinque erano sopravvissuti ed erano stati mantenuti fino ai sette anni, le femmine, e fino a cinque, i maschi. Per ordine del re, era “vietato di rintracciarne gli occulti genitori”. E, anche se si sapeva chi erano le madri, queste non potevano essere obbligate a prendersi cura dei loro bambini. L’unica eccezione erano le “pubbliche meretrici” benestanti: loro sì, loro, se abbandonavano un bambino e la cosa era risaputa, dovevano forzatamente riprenderselo per allevarlo. Sotto una sorveglianza speciale, “affinché le infami madri non li faccian morire o li facciano esporre nelle campagne”. 

I registri dei battesimi di Pantelleria, così come i registri parrocchiali di buona parte dei comuni della Sicilia, sono visionabili gratuitamente sul web. Per raccontare come ci sono finiti occorre spostarsi dal Mediterraneo a Fayette, nello stato di New York, dove, nel 1830, un uomo chiamato Joseph Smith fonda la Chiesa di Gesù Cristo dei santi degli ultimi giorni, i cui fedeli sono noti (dal nome del loro libro sacro) come Mormoni. 

È una fede che prevede come parte del culto la ricerca degli antenati. I Mormoni sono i genealogisti più attivi del mondo. In seno alla loro chiesa nasce, nel 1894, la Genealogical society of Utah, per assistere i fedeli nella loro ricerca. I loro volontari, a partire dal 1938, cominciano a microfilmare in tutto il mondo i registri parrocchiali e civili resi disponibili dalle autorità. 

Nel corso dei decenni la loro banca dati raccoglie milioni di bobine registrate da New York a Bombay, dall’Australia all’Italia. In Africa, dove spesso non esistono registri scritti, i volontari della Genealogical society vanno in giro con registratori per raccogliere testimonianze orali sulla storia dei clan familiari. Le pellicole e registrazioni originali le spediscono alla loro casa madre, a Salt Lake City, nel mezzo del deserto dello Utah, perché siano custodite in un deposito ricavato all’interno di una montagna di granito, a prova calamità naturali e artificiali. 

È così che, nel giugno del 1984, un uomo che si chiama Diego Biffaroni giunge a Pantelleria per microfilmare integralmente i registri delle chiese. E se oggi questi registri ognuno di noi può consultarli dal proprio computer è perché, nel 2000, i Mormoni hanno iniziato a riversare le bobine su un sito che si chiama Familysearch.org, che oggi è il sito gratuito di genealogia più famoso al mondo. La pagina Wikipedia dedicata spiega che esso ha lo scopo di realizzare un unico grande albero genealogico dell’intera umanità.

I Mormoni credono che le famiglie siano eterne, che i legami familiari perdurino oltre la morte, purché tutti i membri di una famiglia siano battezzati secondo il rito della loro chiesa. Ma se qualcuno non lo era c’è la possibilità di fare un battesimo per procura, un “battesimo dei morti”, perché ne benefici un antenato. Basta conoscerne il nome e i dati anagrafici. Ci si può fare battezzare più volte, a nome di molti antenati. Anche più volte in una stessa giornata. Così tutta la famiglia si potrà ritrovare, un giorno, in paradiso. Per i Mormoni la questione del battesimo e della salvezza non è meno rilevante che per i preti siciliani del ‘700.

La sera del 30 luglio 2024 esco dal pronto soccorso di Pantelleria saltellando su un piede. Ho salutato il sudanese e fatto gli auguri alla ragazza, che partorirà a Trapani tra quattro mesi. Ad aspettarmi fuori trovo Simone – mi infila un braccio sotto l’ascella e mi guida giù per i gradini. In mano stringo un foglio che dice “non si apprezzano lesioni ossee traumatiche”. Di fronte al paese di Pantelleria, sulla costa ovest dell’isola, il sole sta scendendo verso il mare regalandoci uno di quei tramonti arancioni per cui l’isola è tanto amata. Il telefono mi restituisce l’ora di Tunisi, dove non c’è l’ora legale. Alla radio passa musica araba. 

 

 *Immagini fornite dall’autrice