Egle Palazzolo
I vecchi e i giovani. Chiediamo scusa al grande scrittore agrigentino se calziamo un suo titolo, è ovvio per altri versi inteso, sull’evento Festival di Sanremo che ha inchiodato ai più svariati e opposti commenti metà di italiani da una parte e metà dall’altra. Come sempre avviene, in diverse circostanze. Ma con qualche ragione in più questa volta, in relazione ai tempi che viviamo, con capi di governo di diverse nazioni che ci fanno paura, con le angustie ricorrenti in casa e fuori. Per questo maggiormente si fa sempre pù impellente la voglia di staccare la spina e la “splendida cornice” in riviera ligure con suoni e… rumori, fiori, luci e varia umanità nei due settori selezionati al Teatro Ariston. E anche nella grande piazza non lontana o a bordo della nave colorata e illuminatissima piena di ragazzi saltellanti a bordo piscina diviene una alternativa, una soluzione sia pure temporanea ma da buttarvisi dentro. Chi stava in teatro era in zona franca rispetto a chi, anche seguendo da casa la collaudata sagra canora, cambiando anche un attimo canale, si ritrovava sotto gli occhi le macerie di un terremoto spaventoso, lo strazio di sopravvissuti poveri di tutto. O ancora, le rovine che, in terra ucraina continuano caparbiamente e crudelmente a provocare una guerra, cioè la distruzione e il terremoto voluti da uomini.
Ma ripartiamo alla citazione iniziale. Giovani, ragazzi della movida, come spettatori, in sala se ne contavano pochi davvero. Ma senza dubbio a seguire il Festival tanti ce ne saranno stati, tutti nutriti di musica attuale, di composizioni nuovissime, tutti fans dei loro fortunati coetanei che forti di pop e di rap, di abbigliamenti, o quasi, con cui esibirsi tra fronzoli, tatuaggi e valanga di lustrini, erano più della metà, e soprattutto erano quelli cui gli organizzatori non facevano mistero di contare maggiormente. E questo era sotto gli occhi di tutti, di chi di generazione diversa seguiva con difficoltà, non riusciva a cogliere armonia di note, non poteva cogliere neppure qualche assonanza classica che vi si mescolava. Fra gli esempi, lo stesso Lazza, secondo in classifica, dopo il bel Marco Mengoni, già assai noto e amato, che per la seconda volta ha ricevuto a Sanremo l’alloro finale. Ma una linea di demarcazione tra vecchi e giovani è data soprattutto dai testi: c’è più volte la presunzione dei grandi temi, la filosofia della vita in ogni piega, anche la più intima ma parole, concetti e contenuti in assoluta libertà d’uso, non è detto che reggano. All’ascolto giungono in generale parole pasticciate, sussurrate pianissimo come in confessione, e poi urlate in un crescendo duro ed esagitato che si spezza all’improvviso sull’ultima parola, spesso anche questa da indovinare. Ma i giovani cantanti tuttavia non vogliono contrapporsi a chi li ha preceduti, anzi hanno in molti casi attenzione e rispetto e probabilmente questo voleva far emergere l’edizione 2023. In realtà si può avere vent’anni come ottanta ma ascoltare insieme “la vie en rose” nello struggente avvio inziale, limpido, accattivante come altrettanto il refrain, o anche “Voce e notte” che è dolore, invocazione e sa piangerli o urlarli in un indimenticabile contesto musicale, è possibile. Perchè di fronte a ciò che può coinvolgerci davvero “vecchio” o “nuovo”, non esistono più. E quasi certamente gli odierni big della canzone non trascurano o disconoscono la storia delle musica leggera. E novità pochi decenni fa, furono i cantautori, come Dalla, De Andrè, Guccini, Vecchioni e molti altri, i poeti con la chitarra che tanti amammo e che tanto ebbero modo di suggerire. Senza omettere, Franco Battiato di cui in questi giorni è venuto fuori un giudizio assai amaro e negativo a proposito del Festival di Sanremo che pure frequentò, come qualcuno ha fatto notare. Ma questo non vuol dire. Se sei all’interno vedi meglio le cose. Anche Luigi Tenco lo frequentò e ciò che accadde resta ancora oggi una pagina troppo accanitamente dimenticata.
Il Festival di Sanremo di cambiamenti ne ha tentati molti, di inserti particolari con agganci a fatti concreti o a memorie importanti pure. Per il resto poi la musica, le espressioni del momento, sono quelle che sono, i giovani cavalcano la tigre e ci dicono che la canzone muta modalità e sequenze ma è comunque specchio del tempo che viviamo, in certa misura, dei suoi umori, dei suoi orientamenti. E se abbiamo libertà di non preferirla, di irritarci o di scandalizzarci, non ci resta che voltarci da un’altra parte e raccattare qualche nostro amato CD. Accettare non è obbligatorio. Ma certamente lo è comprendere e magari attendere. In quanto ai vecchi, ai vecchi big della canzone italiana, volendoli includere e immaginiamo compensandoli, il Festival ha offerto uno spettacolo desolante e crudele. A parte l’allegra e disinvolta paginetta dedicata a Ranieri, Albano e Morandi che hanno ancora estro e voce, perché fare arrivare, con evidenti fatiche, nel palco, anche Ornella Vanoni e prima di lei, Gino Paoli o Peppino di Capri costringendoli a cantare? Erano interpreti di sicura personalità. Perché Amadeus che è un professionista apprezzabile ha lasciato che si azzannasse il ricordo che ne abbiamo?
Siamo a una settimana nuova, e i commenti e le interviste hanno occupato due interi giorni, possiamo girare pagina. Con un pensierino a Benigni sempre bravo e riconoscibile ma che, ha esagerato in ripetizioni esaltazioni e salamelecchi che neanche la eccezionale presenza del Presidente Mattarella in sala rendeva tanto necessari; e un altro alla squallida letterina di Zelenski che con malavoglia, forse considerati i motivi della mancata presenza del presidente ucraino in Italia, ha in chiusura, letto il conduttore. Mettiamo una croce anche sugli abitini dorati rappresentanti il corpo femminile, che Chiara Ferragni, donna di indubbi meriti, ha individuato per rivendicazioni, in questo senso discutibili. Omettiamo il bacio subìto o condiviso da Fedez in palcoscenico con Rosa Chemical e soprattutto gli strascichi polemici di una sempre piu’ deludente politica e spettacolarità. E allora… dimenticare SanRemo? Ma no. Piuttosto facciamocene una ragione.
Analisi acuta e pienamente condivisibile.
Ottima analisi, approfondita, dell’evento e dei costumi italiani. Di un periodo non dei più felici.
Ho apprezzato il contrappunto vecchi/giovani e la linea critica ma non polemica, che da’ allo spettacolo il giusto limitato spazio.
Brava Egle, come sempre
Un Festival che ogni anno ci mostra un’umanità variegata e colorita ! Un circo contenitore che ha l’obiettivo di soddisfare i gusti degli italiani. Ma non tutti !