Vittoria Marsala
Vita breve, morte certa,
del morire l’ora è incerta.
Una sola anima si ha,
se si perde che sarà?
«Questa è l’unica preghiera che conosco.»
Anna si accarezzava le spalle dondolandosi sulla sedia di legno.
«Mio padre era molto cattolico.»
Lo cercava in alto da qualche parte sul muro in alto, io lo sapevo, però non potevo vederlo. «Appena ho fatto diciotto anni, sono andata a segnarmi per la cremazione. Ancora per la chiesa era un’eresia. Non posso sopportare il pensiero di essere toccata senza poter partecipare. È bellissimo essere toccati, ma bisogna esserci. L’ho scritto da tutte le parti: io muoio e poi cenere subito, niente camere ardenti, né bare né funerali.
Qualche anno dopo anche la santa istituzione si decise, allora anche mio padre volle essere cremato.» Io stavo in silenzio e cercavo di cogliere in che direzione gli occhi di Anna proiettavano i ricordi.
Sarà alta poco meno di un metro e sessanta, ha gli occhi chiari e due belle mani lunghe. I capelli sono ancora molti e bianchissimi e lei li pettina con due mollette, una per tempia.
«Io ho iniziato a parlare quando ha smesso Gigi nell’89.
Ci siamo conosciuti all’ospedale di Crema, perché lui era di turno quando i miei fratelli piccoli, diavoli spericolati, si erano schiantati con la vespa.
I suoi colleghi lo chiamavano Gigione, in reparto di Luigi ce ne erano due. L’altro era detto Gigino. Gigione non di certo perché fosse un gigante, s’intenda…era solido.»
Ecco Gigi, lontano fuori dall’oblò, lo guardava sulla linea dell’orizzonte, liquidando un sospiro e dissimulando l’espressione inconfondibile di chi ripensa all’intimità profonda, per poi ricordarsi all’improvviso di non essere solo e sentirsi scoperto. Dopo ha continuato a raccontare.
«Avevo sedici anni e lui era dieci anni più grande di me. Non è vero che all’epoca non si poteva fare l’amore. Di nascosto si è sempre fatto di tutto, ma io con lui volevo svegliarmi e mi sono fatta sposare. Dal lavoro tornavano sempre in tre o in quattro, perché io e Gigi credevamo che è una casa è una casa solo se accoglie.»
«E questa casa?»
Ho chiesto.
«Negli anni sessanta a Stromboli c’erano delle residenze autogestite di studenti che venivano da tutto il mondo. Siamo venuti per parlare coi ragazzi di medicina e questa casa l’abbiamo incontrata per caso. È a forma di nave perché l’hanno costruita gli strombolani, con una struttura che potesse adattarsi al corso del torrente che ora non c’è più. L’abbiamo comprata subito, con i soldi che Gigi teneva sul conto delle suore della clinica. Diceva che i soldi fanno paura e allora preferiva non prenderli tutti quando dovevano pagarlo. È stato un po’ come se ce l’avessero regalata loro.
In ogni camera da letto c’è un armadio che ospita una piccola cucina di pietra lavica. Ci vivevano in tanti e bisognava essere autonomi.
La prima volta che siamo entrati, al centro dell’ingresso campeggiava trionfante una bara vuota.
Io non lo sapevo ed ero sconcertata… pare che qui sia una vecchia tradizione, regali una bara a chi vuoi bene, così quando va via, va in una scatola che gli hai regalato tu. Ci ha portato fortuna. Gli strombolani la sapevano lunga, la casa deve avere per forza una finestra che saluta il vulcano e l’altra guarda il mare.
Gigi si era fatto fare un letto alto, con una piccola scaletta, così al risveglio avremmo sempre avuto il mare a portata di sguardo.»
Bevevamo acqua tiepida e io non osavo chiedere se potevo fumare, anche se sono quasi certa che mi avrebbe detto di sì.
Nei momenti di silenzio cercavo di non farmi beccare mentre pensavo ad Anna che vive da sola nella casa forma di nave da trentacinque anni, a tutte le domande che non le potrei fare.
“Sotto sotto sotto, non ti senti sola?”
«Non esco mai e mangio solo se ho fame, come mi piace.»
dice.
Io le credo. Ci siamo conosciute perché lei stava affacciata a poppa della casa e io esploravo quel lato dell’isola. Un cenno di saluto con la mano, dato che, alla fine, stavamo facendo la stessa in modo diverso. Mi ha invitata sù e siamo diventate amiche.
Mi affascina e mi spaventa, racconta di una vita talmente lontana e mi rendo conto che sulla terra le nostre vite saranno sovrapposte per poco.
La sedia di Gigi è ancora al suo posto di fianco alla finestra a strapiombo sul mare, il vento soffia fresco sulla torta con cui abbiamo fatto merenda.
«Ogni tanto scendo in spiaggia, qui sotto, e grido forte, ho bisogno di svuotarmi»
Ho pensato che se l’avessi trovata che urlava forte giusto questo pomeriggio mentre andavo a trovarla, mi sarebbe preso un colpo.
L’isola in questi giorni fa rumore, il vulcano ha eruttato come non faceva da anni, e io non lo conosco poi così bene, è un signore anziano che chiamano lui, o più spesso Iddu.
Respiriamo un’energia che non saprei spiegare, penso il vulcano come se fosse il guardiano della porta che conduce al centro della terra, mi attrae. Scelgo di accettare che noi umani non dobbiamo avere accesso proprio a tutto, che possiamo non sapere proprio tutto.
I giornali, la televisione e i social sono invasi da notizie su di lui e su di noi che adesso siamo a Stromboli. La protezione civile sconsiglia di sbarcare, ci dicono di stare lontani dal mare. La lava si è depositata sulla sciara del fuoco, se dovesse solidificarsi male e crollare in acqua provocherebbe un maremoto. Allerta. Mi hanno incantata l’abitudine all’inaspettato, la rassegnazione serena alla dimensione della nostra piccolezza.
Il vulcano è il vulcano, il fuoco è il fuoco, il mare è il mare.
Anna oggi ha gridato in spiaggia, non ne può delle telefonate preoccupate degli amici rimasti in pianura padana, dei carabinieri che bussano alla sua porta solo per verificare se è viva.
«Non dormo più nella stanza del letto che guarda il mare, da quando Gigi non parla più. In quel letto non voglio svegliarmi da sola.
Dormo nella stanza che saluta Iddu. Ogni mattina apro gli occhi ed è lui che guarda me, mi dice: “Buongiorno Anna, non aver paura.” »
Anna C. ha novant’anni ed è nata a Crema. Vive a Stromboli nella casa forma di nave in cui è stato girato “Stromboli” di Roberto Rosselini, dal 1968.
La sua amicizia è per me un privilegio grande.
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