Una riflessione a margine delle tragiche morti delle giovani Mahsa Amini e Hadis Najafi
Vanessa Iannone
Ciò che sta avvenendo in Iran in queste ultime settimane mi ha riportato alla mente una “vecchia” lettura a me molto cara, un libro che ha formato la mia coscienza e la mia visione del mondo in modo irreversibile.
“Leggere Lolita a Teheran” è un best seller scritto da Azar Nafisi, professoressa di letteratura inglese presso l’Università di Teheran e pubblicato, in Italia, da Adelphi.
La biografia dell’autrice è assai nota: Azar Nafisi nasce a Teheran nel 1955 da Nezhat Nafisi, prima donna ad essere eletta nel Parlamento iraniano e da Ahmad Nafisi, ex sindaco della città all’epoca dello scià.
Di famiglia benestante, all’età di tredici anni si trasferisce in Inghilterra per proseguire gli studi; si è poi laureata in Letteratura inglese e americana all’Università dell’Oklahoma.
Tornata in Iran nel 1979, ha ottenuto la cattedra di Letteratura inglese presso un Ateneo della capitale, tuttavia tra 1981 e il 1987 è stata allontanata dalla facoltà per aver infranto le norme sul codice di vestiario imposte dalla neonata Repubblica islamica
Azar Nafisi ha sempre rifiutato di indossare il velo, così recita la sua biografia, e per questo nel 1995 è stata nuovamente espulsa dall’Università di Teheran e due anni più tardi ha lasciato l’Iran e si è trasferita stabilmente negli Stati Uniti per poi raggiungere la notorietà con Reading Lolita in Tehran (2003, Leggere Lolita a Teheran).
Ci sono due passi, all’inizio del suo libro, che raccontano in modo chiaro le sue dimissioni, la sua “insubordinazione” e il contesto storico nel quale entrambe le cose avvengono. Siamo di fronte ad un testo e ad un sotto-testo: “…tu non capisci la loro mentalità –dice un’amica all’autrice-. Decidere quando andartene non spetta a te. E’ un diritto loro e di nessun altro” (1) ; qualche pagina più in là troviamo un ricordo dell’autrice, l’arresto del padre, che viene descritto con queste parole: “…per tutti e quattro gli anni in cui lo tennero nella sua cella temporanea- presso la biblioteca del carcere, accanto all’obitorio- ci dissero alternativamente che stavano per giustiziarlo o per scarcerarlo. Alla fine fu assolto da ogni capo d’accusa tranne uno, l’insubordinazione. Me lo ricorderò sempre, insubordinazione. Per me, da allora, divenne uno stile di vita. Molto tempo dopo, quando lessi una frase di Nabokov – la curiosità è insubordinazione allo stato puro-, mi tornò in mente il verdetto contro papà”. (2)
Leggere, nella sua etimologia, rimanda alla parola raccogliere e, di fatto, Azar Nafisi raccoglie attorno a sé, nel suo salotto, di fronte a sette tazze di thè, sette donne, sette studentesse, quelle che lei ritiene le migliori o, forse, le più adatte a discutere di bellezza: “… e ritrovo quel soffio nelle lettere dei miei ex studenti quando, nonostante le ansie e i timori per un futuro senza lavoro né sicurezza e un presente ostile e precario, mi scrivono della loro ricerca di bellezza che non è finita”. (3)
Reading, nel titolo originale, rimanda anche all’atto del parlare ad alta voce. Nella Repubblica Islamica dell’Iran non si poteva parlare ad alta voce, in nessun regime è possibile farlo eppure, in qualche modo, la professoressa Nafisi e le sue sette ragazze, hanno parlato ad alta voce in quei giorni fatti di casa – e la descrizione della casa di Azar è davvero un camminare in quelle stanze- di divano, cucina, torrone e libri, tanti libri, tra cui il primo, Lolita di Nabokov, Lolita la dodicenne, Lolita la scandalosa, una bambina che diventa ossessione di un adulto e che crea inciampo nelle coscienze occidentali (in Iran però una bambina a nove anni poteva e può diventare moglie), Lolita che rimane, a parere di molti, tra i migliori incipit della letteratura contemporanea. “Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia. Lo-li-ta: la punta della lingua compie un percorso di tre passi sul palato per battere, al terzo, contro i denti. Lo. Li. Ta.
Era Lo, semplicemente Lo al mattino, ritta nel suo metro e quarantasette con un calzino solo. Era Lola in pantaloni. Era Dolly a scuola. Era Dolores sulla linea tratteggiata dei documenti. Ma tra le mie braccia era sempre Lolita.”(4)
L’analisi letteraria delle opere citate all’interno del romanzo è profondissima, dettagliata, originale, data dalla somma di otto personalità femminili diversissime fra loro (la ragazza che non ride o non riesce a ridere o non può ridere, quella colorata, quella ubbidiente che in quel giorno della settimana dedicato alla letteratura non ubbidisce) ma accomunate da quel grande desiderio di non rimanere invisibili; i regimi rendono davvero invisibile l’essere umano nella sua singolarità e quello che rimane a quelle otto donne è lo sguardo delle altre o meglio, dell’una per l’altra. La letteratura diventa un fatto clandestino il che appare stridente perché in fondo l’essere umano è una specie narrante e, per conseguenza, una specie che legge, interpreta e agisce anche attraverso i segni.
Nell’opera vi è una trama tessuta da lontano; il diritto all’immaginazione emerge chiaro soltanto nell’ ultima pagina ma si intravede già un embrione di esso molto prima della fine: “… la principale differenza tra queste ragazze e quelle della mia generazione era che noi sentivamo di aver perduto qualcosa… le mie ragazze invece parlavano sempre di baci rubati, di film che non avevano mai visto e del vento che non avevano mai sentito sulla pelle. I loro ricordi erano fatti di desideri irrealizzati…” (5)
Il libro è pieno zeppo di riferimenti storici, il tutto si riconduce alla difficoltà della vita post-rivoluzione del 1979. (6)
Quarantadue anni fa il destino dell’Iran è stato completamente stravolto: la monarchia venne rovesciata in favore della repubblica dell’ayatollah Khomeini. Khomeini impose un sistema di governo interamente basato sulla legge coranica e questo non poteva non avere un impatto sulla vita quotidiana di tutti, giovani e meno giovani. (7)
A partire dalla seconda sezione del romanzo, il ritmo della narrazione storica si fa ancora più serrato. Due i passaggi emblematici, entrambi riferiti alla sezione sul romanzo di Fitzgerald, Il grande Gatsby; nel primo passaggio l’autrice descrive dettagliatamente una manifestazione di piazza dopo la morte dell’ayatollah Taleghani (8) e, in questa descrizione si fondono il momento narrativo e quello emotivo in una forma assai ricca che porta il lettore in quella piazza, in quel preciso giorno. L’altro passaggio è quello riferito al desiderio, da parte di alcuni studenti, di impiantare un vero e serio processo al “Grande Gatsby” perché in quello scambio corposo tra accusa e difesa si riesce a ricostruire la storia di un paese, di quello specifico paese che era l’Iran, in quel momento che la scrittrice intende raccontare. (9)
Ancora qualche considerazione.
Una di tipo nuovamente etimologico; nell’ultimo paragrafo del romanzo compare, questa volta esplicitamente la parola immaginazione. (10)
L’immaginazione rimanda alle immagini, esse sono imitazione, il diritto all’immaginazione di cui parla l’autrice è quel diritto a configurarsi, nella propria mente, immagini di salvezza che procedono per riconoscimento e, appunto, per imitazione.
Nella lettura il lettore si muove nel reale anche quando esso appare fantastico, un reale che riconosce come appartenente a se e al proprio esclusivo modo di sentire, ogni letteratura è questo: un fare mondi con le parole e, in questo senso, ogni letteratura è poesia che rimanda alla prassi.
La seconda considerazione è di tipo totalmente personale, è davvero il racconto delle mie sensazioni e della mia immaginazione; “Leggere Lolita a Teheran” è stato per me, molti libri in un libro solo. È la storia di un regime, di una ribellione, ribellione femminile nello specifico, è l’intreccio di molte vite di donna, è un racconto sul coraggio delle proprie idee, sul dettaglio storico, sull’importanza vitale della cultura e della letteratura, è un romanzo che rimanda ad altri romanzi, è un libro sulla resistenza e le sue molte forme, è un libro costruito verticalmente e orizzontalmente, una matrioska, ed è un libro femmina.
Vorrei terminare con un’ultima lettura dal testo, la scrittrice ci parla di Orgoglio e pregiudizio, invita le ragazze ad andare a pagina centoquarantotto del romanzo e da lì comincia una vera e propria lezione di analisi letteraria che sollecita anche il nostro ricordo e che termina con una considerazione totalmente inaspettata: i personaggi della Austen, dice Azar Nafisi, “…rischiano l’ostracismo e la povertà pur di ottenere l’amore e l’amicizia dell’amore, e raggiungere quell’obiettivo sfuggente che sta al cuore della democrazia: il diritto di scelta”.
Non dimentichiamo Mahsa Amini, morta per una ciocca di capelli fuori posto. Non dimentichiamo Hadith Najafi morta in piazza, senza velo con la schiena dritta a lottare per il proprio diritto di scelta.
(1) A. Nafisi, Leggere Lolita a Teheran, Adelphi 2007, pg.24.
(2) Op. cit. pg. 65. Ci sono due fatti davvero salienti in questo passo, il primo è che il padre è detenuto, temporaneamente, nella biblioteca del carcere ma, nella descrizione che ne fa
l’autrice, non basta questa informazione e infatti aggiunge: “vicino all’obitorio”. Lo stesso senso di precarietà è ripreso subito dopo quando specifica che i carcerieri alternano la morte
alla scarcerazione senza alcuna, apparente, regola logica.
(3) Op.cit. pg.58
(4) V. Nabokov, Lolita, Adelphi 2013, pg.17
(5) Op. cit, pg.98-99
(6) Un suggerimento sul tema: E.Abrahamian, Storia dell’Iran Dai primi del Novecento a oggi,
traduzione di Annalisa Merlino, Donzelli editori, 2009
(7) Op.cit. pg. 328, un passo che io ho intitolato “la metamorfosi di Nassrim” e che chiarisce bene il cambiamento al quale accennavo.
(8) Op. cit, pg. 113-114
(9) Op. cit. pg 145-163
(10) Op.ci. pg. 371
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