Marcello Benfante

“Ma chi l’ha detto che in terza classe, che in terza classe si viaggia male.
Questa cuccetta sembra un letto a due piazze, si ci sta meglio che in ospedale”
Francesco De Gregori, Titanic

C’è qualcosa di nuovo oggi in Sicilia. Anzi d’antico, per usare un’ambiguità pascoliana. Uno spirito dei tempi, intendiamo dire, inedito e al tempo stesso già visto, perfino atavico.
Questo nuovo zeitgeist siciliano (e non solo) è stabilito da uno strano teorema che chiameremo col nome del suo enunciatore: Gaetano Savatteri, curatore dell’antologia “L’isola nuova – Trent’anni di scritture di Sicilia” (Sellerio, 2022)
Il teorema Savatteri si basa sull’assioma lapalissiano che “il successo di Andrea Camilleri determina una nuova scrittura della Sicilia” (p. 17).
Savatteri, nell’introduzione al volume, lo spiega in termini storici nel seguente modo:
“All’indomani della stagione delle stragi, mentre imperversa la narrazione della Sicilia come luogo dove si combatte la battaglia decisiva tra Stato anti-Stato – con tutte le segrete trattative possibili, vere o presunte – qualcuno comincia scrivere un poliziesco siciliano. Ancora morti? Ancora morti nella terra delle stragi, dei cadaveri sciolti nell’acido, dei bambini tenuti in ostaggio e strangolati?” (p. 14).
Sì, ancora morti: nella realtà e nella letteratura. Fin qui nulla di diverso.
“Ma qualcosa è cambiato. Il romanzo esce per Sellerio nel marzo 1994: La forma dell’acqua di Andrea Camilleri” (p. 14).
Ecco la novità. Si tratta per l’editore stesso, come dichiara la bandella, del “primo omicidio letterario in terra di mafia della seconda Repubblica”.
Il successo è travolgente e progressivo, tanto che d’ora in poi la narrativa e l’iconografia stessa della Sicilia subiscono una radicale trasformazione in un senso che si potrebbe dire più ottimista e meno (o niente affatto) fatalista. Intanto, pare che non si scriva altro che gialli, con rare e secondarie eccezioni. E gialli, s’intende, in vario modo riconducibili ai canoni classici del genere, in cui cioè il colpevole è individuato, accertato e inesorabilmente consegnato alla Giustizia. Niente più, quindi, infrazioni letterarie come quelle operate da Sciascia, lo Sciascia giallista sui generis (o da Dürrenmatt o perfino da Agatha Christie).
Niente più scetticismo, insomma. Non più dubbi o remore (almeno in ambito giallistico) sull’operato della Legge e sul conseguimento della verità.
Questo trionfante pensiero positivo somiglia molto a quell’ottimismo indefettibile teorizzato e formulato da Eleanor Hodgman Porter nel suo celebre romanzo “Pollyanna” del 1913.
“Pollyanna”, fortunatissimo esempio di letteratura edificante per l’adolescenza, si basa su un meccanismo piuttosto stucchevole che l’autrice definisce il gioco dell’essere contenti: “il gioco consisteva proprio nel riuscire a trovare qualcosa di cui essere contenti sempre, in ogni occasione” (in “Pollyanna”, Rusconi Libri, 2016, p. 27).
Si tratta di “una contentezza infinita per tutto ciò che succede o che sta per succedere” (p. 88), sintetizza il dottor Chilton, uno dei personaggi secondari del romanzo.
In verità, non tutto ciò che accade all’utopica eroina della Porter è facilmente riconducibile a una condizione di felicità, ancorché relativa. Né le cose vanno poi tanto meglio, a conti fatti, a molti altri personaggi del romanzo, sebbene confortati e incoraggiati dal fervore ottimistico della piccola orfanella.
Ma l’invenzione narrativa funziona e coinvolge i giovani lettori, insieme ai meno giovani, concorrendo con tante altre opere, non solo letterarie, a forgiare, nella precoce prima metà del XX secolo, il caratteristico idealismo pragmatico americano che tanta fortuna otterrà, soprattutto a livello cinematografico.
Niente di simile accade in Italia, dove continua a vigere il primato estetico del dramma sulle pratiche basse, ancorché molto amate e importanti, della commedia. E tanto meno nella luttuosa Sicilia, dove se l’ottimismo è decisamente fuori luogo, perfino il realismo è visto come una pratica sconveniente.
Eppure proprio in Sicilia sorge la nostra più vigorosa e apprezzata corrente naturalista, la scuola verista che fa capo all’opera magistrale di Giovanni Verga.
Sull’importanza e il prestigio dell’esperienza verista e di Verga (ma anche di Capuana o De Roberto) non ci sono dubbi né ragionevoli obiezioni. Tuttavia questa scuola rigorosa e spietata non ha mai riscosso il favore e il consenso dei siciliani, se non forse a livello accademico e minoritario.
Intervistato da Ian Thomson, Sciascia lo ha detto chiaramente:
“È vero che i siciliani non hanno mai amato quegli scrittori, Verga in particolare, che volevano migliorare le cose o rappresentare la realtà così com’era…. Così com’è” (Ian Thomson “Una conversazione a Palermo con Leonardo Sciascia”, Rubbettino 2022, p. 39).
Il duplice peccato imperdonabile, del riformismo e del realismo, potremmo dire, del voler cambiare un mondo inalterabile (se non irredimibile) e di volerlo raccontare con precisa obiettività, al di là di ogni ipocrita e consolatoria finzione.
Anche la parola, il suo potere di denuncia, di chiarificazione, deve cedere il passo a una mistificazione edulcorata.
Anche il realismo di Sciascia, il suo modo ruvido e aspro di raccontare le cose, di nominarle senza possibili equivoci, presenta alla lunga un che di ripugnante o di pericoloso che è meglio evitare.
“Non è tanto il mio scetticismo a essere bersaglio dei critico quanto il mio cosiddetto pessimismo, una cosa di cui sono stato accusato negli ultimi quindici anni. Ma la mia domanda è: come fate ad accusarmi di pessimismo se la realtà è di per sé pessima?” ( p. 54).
Il fatto è che il pessimismo, così come pure ogni forma di realismo sincero e veritiero, dà sempre fastidio, soprattutto a quelli che la realtà preferirebbero tacerla o manipolarla per interessi personali.
Ma, a dirla ancora con Sciascia e con Gogol: “Che colpa ne ha lo specchio se i nostri nasi sono storti?”.
Savatteri, con la sua operazione antologica, tenta vanamente di raddrizzare i nasi in base a una presunta rivoluzione camilleriana che lungi dall’essere innovativa ritorna a un vecchio pregiudizio anti-pessimista.
Sennonché l’operazione non ha alcuna possibilità concreta di successo o di coerenza interna, e nonostante pretenda di essere esaustiva (esaustiva ma “necessariamente incompleta”, dice incongruamente Savatteri) risulta in conclusione lacunosa e contraddittoria, ché il dramma, il tragico, il conflitto, la problematicità, il dubbio, non possono essere eliminati né sottaciuti dalla letteratura in Sicilia degli ultimi trent’anni.
Checché ne dica e pensi Pollyanna.