Daria D’Angelo
Io sono ebrea. No, palestinese. O forse, russa o ucraina, o siriana, o afgana. Sono europea? Americana? Africana? Ho la pelle giallognola e gli occhi a mandorla? Non lo so più chi sono.
Sono un essere umano. Un essere umano spaventato dalla guerra e dalla morte.
Cristiana, ho ricevuto un’educazione borghese; sono stata solo più fortunata perché sono nata nella parte ‘giusta’ del mondo ed ho la pelle più chiara di quella mia sorella che, nata in un posto sbagliato, è costretta a prendere un barcone per fuggire all’orrore.
Mi è stata insegnata la parità di diritti fra tutti gli esseri umani, la convivenza pacifica di religioni diverse, il rispetto dei confini, l’abbattimento dei muri, insomma: la democrazia. Ho pensato di avere acquisito dei diritti e creduto di essere superiore ad altri. Come donna sono riuscita a conquistare il diritto di avere un conto in banca, di votare, di uscire da sola, di vestirmi come voglio e fidanzarmi con chi voglio.
Disprezzo la violenza, da parte di chiunque, sulle donne e su tutti gli esseri viventi. E rifiuto anche la sola idea di ‘sterminio’ che non posso accettare, come non accetto la guerra, con l’orrore che si porta dietro e che ora mi assedia.
Mi viene chiesto di scegliere, di stare da una parte o dall’altra. Ma l’unica scelta che posso e voglio fare è quella di stare dalla parte di chi come me ogni giorno conosce lo spavento, la paura, l’oppressione.
Io voglio ritrovare il senso della parola Umanità, lo voglio!
Ma vago in mezzo a quest’orrore disumano, fra le macerie dei palazzi, il passo randagio e le spalle oppresse dalla angoscia, cercando di capire chi sono.
In questi luoghi non esistono più colpevoli e innocenti, l’innocenza e la colpa sono ormai aggrovigliate in nodi così stretti che non c’è Sapienza, se non quella gordiana, che possa districarle.
Il mondo non ha più quei colori che consentivano alla colpa di sfumare nell’innocenza e da questa tornare poi di nuovo alla colpa. Ormai c’è un solo colore: il grigio infernale, che somiglia al nero.
La sola scelta possibile è dunque condividere con l’Umanità la magra convivenza con la paura e il senso di dolore e infelicità che annebbiano la coscienza.
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