… lo si diventa. Simone de Beauvoir
Daria D’Angelo
Simonetta Sciandivasci, giornalista della Stampa, ha di recente scritto un libro “I figli che non voglio” in cui si parla di una minoranza, non proprio esigua, che sceglie di non fare figli, perché non ne vuole. Non ho ancora letto il libro e non voglio fare una recensione ma solo soffermarmi su un argomento che mi sembra molto interessante. Oggi il ritornello comune è: In Italia non si fanno più figli, dove andrà a finire la nostra civiltà? Il sotto testo è chiaro, è il pensiero che l’unico modo per tenere in piedi il sistema sia procreare, anche laddove le donne (in realtà una stimata minoranza) pur essendo nelle condizioni di fare figli, non li vuole.
Non è passato troppo tempo da quando Simone de Beauvoir scrisse “Il secondo sesso”, libro ancora letto dalle nuove generazioni, in cui una sola frase: “Non si nasce donna, lo si diventa”, apriva un’ottica assolutamente rivoluzionaria per quell’epoca, cambiando lo sguardo delle donne verso il proprio ruolo quasi ancestrale nella visione del suo esistere al mondo. La spiegazione di Beauvoir, che la condizione femminile non è una fatalità, una decisione divina o qualcosa di naturale, ma una situazione storica, sociale, ed economica che può essere trasformata, ha cambiato completamente lo sguardo delle donne e verso le donne. Queste ultime sono spesso rappresentate come vittime di un Paese in cui fare figli è un privilegio per gli stipendi bassi, gli asili inaccessibili, lo stato sociale che non provvede come dovrebbe, o come ciniche carrieriste la cui prospettiva futura sarà una vecchiaia solitaria e amareggiata dal rimpianto. Sono schemi ormai obsoleti, che non vogliono tenere in considerazione della scelta, di non essere madri, senza dover per forza passare attraverso sguardi giudicanti, compassione e critiche ancora cattive che sottendono un’irrinunziabile presunta promiscuità. I ruoli attribuiti dal pensiero comune alla donna sono quelli di sposa e madre, stenta l’idea che si possa scegliere liberamente di esulare da questi ruoli per attuare un’autorealizzazione in piena libertà senza colpevolizzazioni espresse o taciute, senza anatemi su un vecchiaia di tristezza e solitudine, senza l’aspettativa continua che il suo esistere si compia solo attraverso la maternità.
Donna non si nasce, si diventa. Nessun destino biologico definisce l’aspetto che riveste in seno alla società la femmina, in quanto creatura che esiste in sé. La sua maternità ha diritto di essere una scelta, non un’imposizione chiara o velata tesa a farle intendere che solo il diventare madre le dia diritto ad una piena considerazione da parte della società. Tutto questo è ingiusto anche per chi, invece, non può diventare madre per problemi vari, altro genere condannato a occhi compassionevoli, viste come vittime di una sciagura che non ha permesso loro di essere appieno degne del ruolo di donna.
Abbiamo bisogno di una prospettiva nuova perché nessuna donna sia vittima di nessuna misteriosa fatalità; ogni singolarità e ogni scelta devono essere rispettate, nessuna colpevolizzazione per scelte o destini fuori dagli schemi.
Si potrebbe obiettare che queste considerazioni sono del tutto utopistiche, perché, per “rifare la donna”, bisognerebbe rifare la società e l’uomo, soprattutto quello che sceglie la donna solo come “madre dei suoi figli”. Bisogna spezzare il cerchio e abolire insieme la tendenza degli uomini a emancipare parzialmente le donne, che non devono seguire la loro ascesa, o devono rinunziare alle proprie carriere.
“Quando la donna sarà uguale al maschio, la vita perderà il suo sapore”. Neanche quest’argomento è nuovo: chi ha interesse a perpetuare il presente versa sempre qualche lacrima sul magnifico passato che sta per scomparire, senza accordare un sorriso al giovane avvenire. Si può apprezzare la bellezza e il fascino delle donne per quello che meritano, lo stesso. Liberare la donna significa rifiutare di chiuderla nei rapporti che ha con l’uomo, ma non negare tali rapporti; se essa si pone per sé, continuerà ugualmente ad esistere anche per lui: riconoscendosi reciprocamente come soggetto, ognuno rimarrà per l’altro un altro, e la coppia umana troverà la sua vera forma.
Utopia?
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