Anne Clémence De Grolée 

 

Capita che alcuni progetti ti rimangano impressi e non si distacchino mai totalmente da te, anche dopo essere stati inaugurati, quindi smontati ed archiviati.

Così è stato per il progetto partecipativo “Cortile/curtigghiu, voci dai cortili per la città da reinventare” che sviluppai nel 2011/12 per e con la città di Favara (AG), con il sostegno di Farm Cultural Park e la collaborazione dei giovani attivisti dell’associazione Nicodemo. Un progetto tra arte ed antropologia incardinato sulla memoria collettiva della vita nei cortili, ora perlopiù disabitati, da consegnare a chi si adopera a rianimare il centro storico della cittadina. ( http://www.degrolee.info/cortile-curtigghiu/)

Un filo rosso scorreva probabilmente ancora sottotraccia se, qualche mese fa, sono stata invitata da Rosa Gangi, delegata del FAI di Caltanissetta, a partecipare ad una manifestazione dal titolo “L’arte del ricamo: il valore della comunità” a Santa Caterina Villarmosa (CL).

L’organizzatrice dell’evento mi scrive en passant che la cittadina ha avuto una storia di riscatto femminile e questo non poteva che catturare la mia attenzione.

E così vengo a scoprire un episodio della storia sociale italiana che ha dell’incredibile. Nei primi anni Settanta, le donne ricamatrici di Santa Caterina Villarmosa, paese del profondo entroterra siciliano, che stanche dello sfruttamento del proprio lavoro, si unirono in lotta sotto un simbolo quello de La rosa rossa. Le lavoratrici si organizzarono, smisero di lavorare e manifestarono a Palermo per affermare la dignità del proprio lavoro, fino ad incidere nel 1973 sulla Legge nazionale, ottenendo il riconoscimento della tutela del lavoro a domicilio, prettamente femminile.

Ricorre quindi quest’anno il cinquantesimo anniversario di tale lotta e questo non è sfuggito al FAI di Caltanissetta, diretto dalla storica dell’arte Giulia Carciotto. A seguito di una “Giornata Fai d’Autunno” già dedicata alla visita del complesso minerario di Trabia Tallarita, vestigia dei tempi dell’estrazione dello zolfo, il FAI riafferma l’importanza del patrimonio immateriale con la valorizzazione di questa pagina significativa della storia contemporanea siciliana e nazionale.

Ed eccoci al 9 dicembre. Arrivare a Santa Caterina Villarmosa non è impresa facilissima: giace eternamente incompiuta la statale 640 Caltanissetta-Agrigento il cui cantiere si protrae da 40 anni, compromettendo lo sviluppo dell’area nissena, senza che se ne capisca la ragione.

Presso la Sede del Comune, il FAI presenta in bella mostra i pregiati ricami su antichi pezzi di corredo, prestati per l’occasione dalle famiglie delle ricamatrici storiche ed è proprio nell’aula consiliare che si svolge la tavola rotonda.

La cronaca di quegli anni viene ripercorsa grazie a Fiorella Falchi, docente di storia e filosofia nonché giornalista e partecipe/testimone di quella lotta.  Falchi racconta come il ricamo a domicilio delle donne, realtà nascosta in tanti paesi della Sicilia, fosse tradizionalmente sottopagato e sfruttato da numerosi intermediari prima di giungere ad una committenza ”senza volto” che non ne riconosceva, comunque, il giusto valore. A condurre la ribellione contro un sistema ingiusto quanto obsoleto fu la ricamatrice Filippa Pantano, appena tornata in paese dopo anni di emigrazione in Germania dove conobbe forme di rivendicazione molto più avanzate, e della giovane figlia Pina Rotondo. La marcia a Palermo delle (quasi) mille donne unite nella Lega delle Ricamatrici, sostenuta dall’UDI e dalla CGIL, destò l’attenzione della stampa, primi fra tutti, l’Unità e L’Ora. Le istanze di tale mobilitazione approdarono in Parlamento e ottennero una veloce risposta legislativa, con la mediazione politica di due grandi donne del panorama politico italiano, Tina Anselmi e Maria Magnani Noya: nel 1973, la legge 877 garantiva finalmente la tutela del lavoro a domicilio. In seguito le donne organizzate nella cooperativa, il cui simbolo e nome era proprio La rosa rossa, riusciranno a portare in tribunale alcuni degli intermediari che verranno condannati in modo definitivo nel 1977. La vicenda non è tuttavia a lieto fine per via dell’ostracismo di cui fu vittima la stessa cooperativa, una forma di vendetta, che la porto, di lì a poco, alla chiusura. Falchi propone un interessante bibliografia a corredo di questa notevole pagina della storia sociale italiana. La storia della Rosa Rossa, infatti, è stata raccontata per la prima volta in “Le ricamatrici” da Ester Rizzo per Navarra Editore e poi anche dalla scrittrice milanese Guia Risari con il libro “Il filo della speranza” adatto a giovani lettrici e lettori(Edizioni Settenove).  Al culmine di quest’excursus spicca la fotografia di Letizia Battaglia, La ricamatrice (1987) che ritrae finalmente una donna col vento tra i capelli, e non più legati, una donna con uno sguardo e una sua propria identità, per la prima volta non solo delle mani impegnate nel gesto di ricamare.

 

Sulla necessità di fare rete insiste durante il suo intervento Dafne Anastasi, sindacalista USB Catania e militante del movimento transfemminista Non una di meno.  Anastasi, sostiene che la lotta delle ricamatrici de La rosa rossa serva da esempio ancora valido di un gruppo organizzato nella difesa dei diritti comuni in un paese, come l’Italia, dove tuttora regna un certo timore dell’auto-gestione. Invita quindi le donne a risvegliarsi e lottare contro un sistema che, come si è acclarato durante la pandemia e, in particolare, il lockdown, continua a scaricare il lavoro di cura sulle donne. Il telelavoro non ha fatto che far coincidere il tempo del lavoro con il tempo di cura famigliare. Ricorda ancora le tante rivendicazioni che si dovrebbero portare avanti, come la richiesta di asili nido, la regolamentazione del lavoro di assistenza o nell’agricoltura, perlopiù subappaltato, la prevenzione delle morti sul lavoro.

Interviene , a seguire, Giovanna Seminatore che, dopo anni di lavoro a Roma, è ritornata a Santa Caterina dove ha creato il laboratorio (e marchio) Ottomani Tessuti, ritrovando i gesti e i savoir faire della tessitura a mano e, così facendo, riappropriandosi di un ritmo più lento nonché di nuove energie. Seminatore illustra il progetto di Scuola delle arti e dei mestieri della lana, a Castronovo di Sicilia (PA), attento a tutte le fasi della filiera della lana, che si propone di riconciliare arte e artigianato per superare la crisi di quest’ultimo. I pezzi unici, tutti creati a mano, vengono realizzati anche su committenza privata e vengono distribuiti attraverso una rete variegata tra architetti, botteghe e e-commerce. Intende pure organizzare corsi per le scuole e le categorie sociali più fragili.

Piero Di Pasquale racconta l’esperienza di Manima World, una start up creata nel 2021 insieme a Carolina di Guthmann, con il sostegno finanziario dell’Unione Europea. Si tratta di un brand di super lusso destinato al mercato internazionale, che cerca di rianimare le antiche tradizioni del ricamo a contatto con proposte contemporanee di sartoria e di design. A sottendere il progetto, l’obiettivo dichiarato di coniugare l’impegno ecosostenibile con quello sociale, a favore delle donne: prevede infatti il coinvolgimento diretto di artigiane ricamatrici d’eccellenza sparse per il territorio siciliano nonché corsi per categorie di donne fragili.

L’incontro termina con l’intervento di Antonella La Monica, docente di lettere e poeta di Santa Caterina, che pone l’accento sul linguaggio, annunciando la prossima pubblicazione della sua “Storia delle donne nel mondo degli uomini.” La Monica legge, infine, un sonetto di William Jean Bertozzo “In piedi, signori, davanti ad una donna” invitando gli uomini presenti in sala ad alzarsi e tutte noi che abbiamo partecipato all’incontro, ci sentiamo un po’ eredi della Rosa Rossa così come, ce lo auspichiamo, la comunità di Santa Caterina Villaermosa.

 

(Foto di A. C De Grolée: Un ricamo originale del simbolo del movimento della Rosa Rossa.)