Egle Palazzolo
Fra le previsioni più catastrofiche, dopo l’attacco a tutto campo che Putin, proprio mentre su richiesta di Kiev, si riuniva il Consiglio di sicurezza dell’ONU, ha sferrato contro l’Ucraina e, che, con ridicola, inutile astuzia, si accanisce a definire peacekeeping, vanno annotate quelle di Valentyn Vasjanovych che riguardano soprattutto l’UE e altrettanto la Nato e l’ONU stesse. Vasjanovych – regista e sceneggiatore che nel 2019 ha vinto col suo Atlantis nella sezione Orizzonti a Venezia e di cui iniziando dal 7 marzo a Roma verrà proiettato il suo recente Reflection – ritiene che la sottomissione della sua Ucraina alla Russia provocherà danni irreversibili per i paesi europei innanzi tutto, renderà vana l’azione di organismi internazionali incapaci a preordinare per tempo un vero, grande argine nei confronti di un progetto cui Putin con cruda testardaggine e grossolane strategie relazionali, lavorava e si preparava da tempo.
Definita dunque non solo come una guerra alla Ucraina, ma una grande operazione di avvio alla conquista e all’ affermazione mondiale, l’intervento di Vasjanovych fitto di pessimismo e di amarezza va letto, per intero, per quel che ci dice come consapevole protagonista che avverte ragioni antiche e nuove di una iniqua sopraffazione. Intanto gli orrori del conflitto ci sono tutti, o buona parte di essi e sotto e arrivano a noi. E vanno persino oltre le conseguenze di uno scontro a fuoco con bombe e carri armati, con eccidi per le strade, razzie e violenze oltre il riconoscibile. Un esempio straziante: un semovente di artiglieria che sulla strada, procedendo in senso inverso, sterza improvvisamente e schiaccia, asfalta del tutto un auto con innocenti a bordo, o il bambino falciato senza ragione mentre corre da solo verso qualche parte.
Chi può salvarci dal peggio in questo momento in cui il governo russo continua e rafforza al di fuori di ogni corretta e riconoscibile ambizione culturale e umana il suo dissennato, anacronistico sogno di riaffermare e allargare il suo potere di nuova URSS? Noi, figli di una Europa, la cui unione è ancora debole e a volte contraddittoria, veniamo intanto minacciati attraverso un annunciato uso di armi nucleari, la Nato e l’Onu chiamati in causa con palese pessimismo dal presidente ucraino, prigioniero di una resistenza che lacera il suo popolo, forse stanno ancora valutando. Dal canto suo l’America, con un presidente che la triste, e in atto accantonata, vicenda afghana ci da poco da sperare, si orienta verso pesanti sanzioni, come da parte sua l’Europa stessa. Ma quanto e quando peseranno queste sanzioni ad una Russia che ha due nazioni su cui contare e, in che modo potremmo evitare che si trasformino in veri e propri boomerang?. Una cosa tuttavia dovrebbe preoccupare Putin: la chiara e forte minaccia degli Anonymous capaci di annientarlo con una guerra cibernetica, ben più su larga scala rispetto a quella che egli stesso pratica furtivamente da anni, nei confronti degli altri cioè la guerra dei nostri giorni, gravissima e paralizzante sotto il profilo economico e persino di normale sopravvivenza. Una guerra tecnologica devastante che non sparge sangue ma che può mettere KO l’avversario più debole. Noi europei soprattutto pronti a predicare pace, non possiamo però non ricordare che la guerra, scuote il mondo da sempre, da una parte all’altra del pianeta e non troppo lontana da noi. Otto anni fa quando per riportarci all’attuale gravissimo momento che rischia di travolgerci, non badammo al come e perché e con quali conseguenze, la Russia avesse conquistato la Crimea, segnale non oscuro di un percorso che Putin stava tracciando. Oggi però l’Ucraina è a un passo dall’Europa e la perdita della sua autonomia o il suo spezzarsi in tronconi ci coinvolgerebbe sotto molti profili: non a caso apprendiamo che paesi come la Finladia e financo la Svizzera da sempre puntellata dalle sue certezze, dichiarano di volere uscire dalla loro neutralità. La coesione in Europa dunque appare esserci. Perché è facile temere che se il “disegno Putin” dovesse avere il sopravvento, niente sarà più come prima. Occorre che la Russia ci ripensi per tempo. E ascolti senza giochi subdoli o ipocrisie, voci autentiche di negoziati di pace. Interessi economici incrociati, scambi commerciali e intese con paesi con storia e cultura ben dissimili, trovano continue occasioni di compromesso. Pochi anni fa Berlusconi flirtava con Putin in un giro di visite amicali e sino a due anni fa Salvini portava orgoglioso le sue T-shirt con Putin in tenuta militare. Poi venne la pandemia, la guerra contro un virus ancora non vinto del tutto e ogni popolo fu simile a un altro con la morte in casa. Il primo anno fu di coesione, il secondo produsse invece l’immancabile manipolo dei NOVAX, che senza ottenere nulla per se e per gli altri, tranne scontri e bizzarre rivendicazioni, si sono guadagnati una identità, aumentata da opinabili riprese televisive ma circolando impuniti grazie al corrotto commercio di false certificazioni. In questa prima settimana di una guerra le cui immagini, quelle che è possibile diffondere ci raggiungono inesorabilmente, coesione e sdegno per la guerra si sono avvertite in numerose città europee e la contestazione a Putin e alle sue pretese è stata massiccia e palese. Non ha importanza per questo pericoloso dittatore? E invece deve. Perché se poco contano le voci, e i sia pur rispettabili pareri di tanti soliti noti fatti di ”però, ma, comunque in alcuni casi la Russia non ha torto, ci sono stati ritardi e omissioni” francamente non ce ne importa e ogni polemica spicciola, ogni esercizio di reciproche accuse e considerazioni, persino in riferimento a chi invia notizie Rai, ci lasciano indifferenti, forse non partecipi. Non è il momento di analisi postume e dialettiche accese. Non ci sono vaccini sì o vaccini no, c’e gente che scappa, e che noi siclliani, come certamente altrove altri, accogliamo e le cui foto inviate al nostro cellulare ci emozionano non poco. Unico primario obbiettivo è FERMARE LA GUERRA. Se Sgarbi afferma che Putin ha già vinto la sua morale e immorale guerra, gli diciamo “bravo!” e andiamo oltre. Andiamo col pensiero a quella piazza di Mosca dove, con una grande forza e una rischiosissima sfida, gran parte del popolo russo è sceso a gridare il suo no alla guerra, la sua inequivocabile contestazione a una politica, a un progetto, a una sanguinaria offensiva bellica destinata forse per follia di un Capo ad allargare il tiro. Certo sembra un numero irrisorio quello del popolo in piazza ma invece è un segno che ha grande importanza. Se il 40% del suo popolo come si stima, o forse ormai la sua metà, non gli è vicino, questo deve far tremare qualsiasi paludato dittatore. E ci da la speranza che, all’interno della stessa Russia nasca una probabile frenata, un capovolgimento. Le piazze europee hanno detto no alla guerra insieme alla piazza di Mosca.
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