…E’ una bella musica, in più di un momento trainante e dominatrice, quella che arriva oggi al Massimo quasi venticinque anni dopo, e che Omer Meir Wellber rende in tutta pienezza e talento di esecuzione, ambientato nel ‘900, nella odierna versione, il contesto incappa negli involontari risultati di una visione artistica di tutto rispetto…
Egle Palazzolo
Fu restio, pare, all’ inizio, Peter all’idea di mettere in musica Eugene Oneigin di Puskin, scrittore di grande, osannato talento. Ma alfine non solo si convinse ma vi si calò interamente, aderendo con le sue “scene musicali” ad un poema lirico i cui protagonisti avevano più di una ragione per attrarlo. Parliamo di Tatiana che, per un paio di evidenti motivi si colloca personaggio di primo piano, capace di riconoscere l’amore e di offrirsi in tutta determinatezza senza ipocrisie o accorgimenti, anche attraverso una lettera che rimane momento focale della narrazione; di Evgeneij, giovane brillante e volutamente vacuo, lontano da affrontare i contorni di una esistenza che abbia responsabilità e valori, capace di rifiutare con gelida disinvoltura gli slanci di una giovane donna ricca di temperamento; di Lenskij suo amico che intende amore e orgoglio fuor da dovuta misura, e della sua amata Olga, sorella di Tatiana, gioiosa, vivace, persino un po’ sfrontata ma certamente lontana da drammi. Parliamo della difficoltà dell’amore nel riconoscersi e nel realizzarsi. Il contesto in cui tutto si muove conduce a singole, autonome vicende dove il verso di Puskin suggerisce la scena musicale che, compositore di grande forza ma forse di non semplice ispirazione come potrebbe dirsi di Cajkoskij, rende in vera assonanza. E’ una bella musica, in più di un momento trainante e dominatrice, quella che arriva oggi al Massimo quasi venticinque anni dopo, e che Omer Meir Wellber rende in tutta pienezza e talento di esecuzione, ambientato nel ‘900, nella odierna versione, il contesto incappa negli involontari risultati di una visione artistica di tutto rispetto. Ma scene, costumi, ambientazione, che malgrado voglia sfuggire a fastosità e pretesti in più, finiscono col ritrovarsi incolore, penalizzando il risultato complessivo. I prati sono casuali, il gazebo in alto, come una grossa gabbia incombe senza adeguata significazione, il coro, lodevole senza dubbio, appare a se stante, il vecchietto con la carriola più intempestivo che poetico. Forse, occorreva che palcoscenico e platea, potessero intendersi di più. Ma questo senza nulla togliere al successo che l’opera ha in questi giorni ottenuto e alla bravura degli interpreti: principalmente Artur Rucinski, Carmen Giannattanasio, Saimir Pirgu, Giorgi Manoshvili, come gli altri, tutti comprimari, rispondenti al ruolo. Poiché che sia opera non rigidamente legata da trama ma da un susseguirsi di scene che non hanno legami di tempo o di luogo si può dire che Il finale pressoché’ improvviso. Con un Onegin che piange il suo dolore per essere ora lui rifiutato da Tatiana, di cui riconosce lo spessore, ormai sposa a un principe suo amico al quale ha dato gioia e ragione di vita, come Evgeneij stesso gli confida mettendolo in guardia da ogni probabile spregiudicatezza. Amore non preso per tempo, per tempo poi, raramente rifiutatogli da una donna che sa dare all’impegno e alla compostezza le priorità essenziali può arguirsi che la solitudine forse, attenda Evgeneij. Sta pagando le somme di una voluta superficialità, quella che non gli ha permesso di guardare ad occhi veramente aperti il significato di presunte libertà. Si è lasciato sfuggire l’amore, ha, senza volerlo, ucciso il caro amico che lo aveva costretto a un duello con lui. Rimorso, rimpianto, nebbia per il futuro? “Francamente non è detto che lo si debba caricare di un “peggio per lui “
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