Antonella Salzano
Quando si parla di parità e uguaglianza, il pensiero va all’estensione alla donna dei diritti e delle opportunità che per secoli sono stati prerogativa dell’uomo. Ci viene forse meno spontaneo – o addirittura ci turba – considerare che all’interno del concetto di uguaglianza si annida anche la scomoda verità che l’animo umano non fa distinzioni di genere e può toccare picchi e abissi sia in presenza che in assenza del cromosoma Y. La Lydia Tár interpretata da Cate Blanchett buca lo schermo per ricordarcelo.
In un mondo dominato dalla fretta e da prodotti usa e getta, il regista californiano Todd Field ha atteso oltre quindici anni per ritornare dietro alla cinepresa (la sua ultima opera era stata Little Children, 2006) e in buona parte lo ha fatto perché la sua sceneggiatura era cucita addosso a Cate Blanchett, l’unica interprete possibile: se lei non fosse stata disponibile, il film non si sarebbe girato. Il tempo, spesso, è sinonimo di qualità e Tár, ricco di potenti spunti di riflessione, non fa eccezione. In 158 minuti, runtime importante, lo spettatore imparerà a conoscere la complessa personalità di Lydia Tár, una direttrice di orchestra così straordinariamente credibile da restare sorpresi nell’apprendere che si tratta di un personaggio di fantasia – è così viva e vera da conferire al film l’illusione del biopic. Per questa interpretazione la Blanchett ha già ottenuto un “triplete” – BAFTA, Golden Globe e Coppa Volpi, tutti quanti premi alla migliore interpretazione femminile. Il film ha inoltre ricevuto 6 nomination agli Oscar.
Quella del direttore d’orchestra è una professione storicamente appannaggio maschile, tanto che l’appellativo per questa figura è abitualmente “maestro”, rigorosamente al maschile. Nel vivo del dibattito sulla neutralizzazione linguistica di genere di questi anni, Lydia Tár, intervistata, si esprime così sulla questione: “è strano che qualcuno si sia mai sentito obbligato di sostituire ‘maestro’ con ‘maestra’. Voglio dire, non chiamiamo le donne astronaute ‘astronette’”. Questa battuta, che arriva intorno al decimo minuto del film, incomincia a rivelare allo spettatore qualcosa di lei.
Lydia Tár è una donna ebrea, omosessuale, conduce una vita alto-borghese, guida una potente auto sportiva, è sofisticata e competente – la sua cultura musicale è sconfinata. Ma Lydia Tár è anche una personalità narcisista e manipolatrice che gioca con le vite e il destino di altre donne: in cambio di devozione e favori sessuali – o del rifiuto di essi – il Maestro procura o preclude posizioni di prestigio all’interno di orchestre. È il caso di Krista Taylor e Olga Metkina. La prima è una presenza-assenza all’interno del film, un nome ingombrante che assilla Lydia Tár sotto forma di email, che lei puntualmente ignora, fino ad un tragico epilogo, mentre Olga è una violoncellista russa alla quale Lydia procura in maniera poco ortodossa il ruolo di solista.
Lydia ha anche una figlia, Petra. In realtà la bambina è figlia della sua compagna, Sharon, primo violino dei Berliner Philharmoniker, orchestra che Lydia dirige. Quando la bambina riporta dei problemi a scuola a causa delle prevaricazioni di una compagna, Lydia si offre di occuparsi della situazione e lo fa ancora una volta in maniera molto maschile: dopo aver accompagnato Petra a scuola, si avvicina alla compagna e le dice “Ciao, Johanna. Io sono il padre di Petra. […] Se lo rifarai, sai cosa farò? Ti prenderò.”
Ancora, nel contesto di una lezione, Lydia Tár invita un giovane studente a superare i suoi giudizi etici conformisti: quando questi ammette di non amare i compositori bianchi, maschi, cis, è una donna bianca e omosessuale a rispondergli “Il narcisismo delle piccole differenze conduce al conformismo più noioso. […] Il problema con l’iscrivere te stesso come un dissidente epistemico ultrasonico è che se il talento di Bach può essere ridotto al suo genere, paese di nascita, religione, sessualità e così via, anche il tuo.” E conclude chiedendogli se un giorno, come direttore, vorrà essere valutato dai musicisti per “la tua lettura della partitura e la tecnica della bacchetta o qualcos’altro?”. Ma il genio artistico è davvero sufficiente a compensare e giustificare i vizi d’animo di un artista? L’arte controversa va distrutta e cancellata, così come vorrebbe la cancel culture o merita di essere ammirata comunque, per il suo valore intrinseco? Questi sono altri interrogativi sollevati dal film.
Ma che cosa propone di nuovo questo film? Se nei panni della protagonista ci fosse stato un uomo, nulla. Ma Lydia Tár è una donna che agisce da uomo, fino a raggiungere il parossismo dell’aggressione fisica ai danni di un collega maschio. È un personaggio pressoché inedito sulla scena cinematografica. È lei un’eccezione patologica o può e deve essere elevata ad ammonimento? – Se ad occupare ruoli e posizioni maschili fossero storicamente state le donne, le cose sarebbero andate diversamente o le dinamiche sarebbero state le stesse?
D’altra parte, gli uomini e le donne sono uguali. Nel bene e nel male.
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