Egle Palazzolo
“MISERICORDIA”. E’ grido, invocazione, preghiera. Ed è anche monito. Per chi dovrà sentirsela dentro di sé come indispensabile elemento di relazione, per chi ha imparato a misurarne la probabilità, l’esito. Come si avrà misericordia per tre donne sole, per tre sorelle che si amano e si feriscono, che cercano un varco di vita ma altro varco non hanno se non quello di adattare la propria sorte fra scadenti lavori a maglia durante il giorno e tentativi di prostituzione prima che faccia notte?
La piece di Emma Dante, fra i lavori in cartellone, tutti quest’anno di indubbio interesse da parte di un Teatro, come il Biondo che in atto agonizza per chiara incuria degli enti chiamati a sostenerlo, ha già avuto palese successo sin dal suo debutto al Piccolo di Milano e lo conferma a Palermo richiamando un pubblico numeroso e convinto. Che ritrova forse una Emma conosciuta e riconoscibile ma anche una Emma un po’ nuova o con un tassello altro, che attraverso la sua visione scenica, nel movimento dei corpi che irrompono e si mescolano, scavalca talvolta il dolore stesso, a volte in un gioco grottesco che lo affianca e non lo trasmuta.
Pochi metri quadri, tanto evidente squallore, disordine, miseria, ma, fra le tre sorelle c’è un ragazzino, svitato ed esuberante, che risponde frenetico a suoni, a gesti, a movimenti, che osserva smanioso dalla finestra la banda che passa e che lo spinge ad una danza scomposta e irrefrenabile che inconsapevolmente è gioia, in qualche modo rispondenza, segnale. Il ragazzo è, Arturo, decisamente “ipercinetico” secondo la più veritiera delle definizioni, ed è il figlio di una amica di Anna, Nunzia e Bettina, anche’ssa sola e diseredata dalla vita, che un prepotente e violento falegname, tra abusi e botte, mette incinta. Muore subito dopo il parto e il bambino destinato a una vita “di legno” per mano di un uomo, un ignobile Geppetto, viene raccolto e amato, compreso e coccolato dalle tre sorelle e copre la sacca di maternità sepolta che avvertono dentro di loro come intatto capitale. Emma Dante in questo atto unico ci consegna forse una più compatta percezione del dolore, della solitudine, della ingiustizia umana, della amarezza di una sorte che può gestirsi solo all’interno di ognuno, con risorse più volte inconsapevoli, con generosità e infine con rassegnazione. La cifra di una regista che conta ormai tappe diverse e significative, che assomma esperienze nel suo percorso, conduce non senza ragione a chiamare Misericordia questo atto unico dove la narrazione si fa quadro di vita, e copre rabbia e sofferenza con una commozione trattenuta quando il loro forte legame, la loro forza affettiva si misurano con la partenza del ragazzo che con la loro benedizione fuori da quelle povere mura, si misurerà con l’esterno. Il ragazzo è un inimitabile Simone Zambelli, perfettamente in sintonia, come Emma Dante ci ha abituati, con gli altri in palcoscenico, questa volta altre, Italia Carroccio, Emanuela Lo Sicco, Leonarda Saffi. Quattro per un atto. Un atto di Misericordia.
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