Egle Palazzolo

Calza perfettamente in un contesto temibile, logoro, dove trovano spazio pesanti ombre del passato che tutt’oggi ci appartiene, l’incontro di Roberto Andò con Thomas Bernhard attraverso la sua ultima opera “Piazza degli eroi”, non a caso ritenuta il suo testamento, il suo tragico… finale di partita. L’evento teatrale già dallo scorso anno, malgrado gli ostacoli della pandemia, è andato in tournée suscitando interesse e successo in tredici città italiane.

Quest’opera di Bernhard non poteva non conquistare un regista che, più volte, con testi suoi al cinema – “Viva la liberta” – o sul palcoscenico – “La tempesta” di Shakespeare – ha colto, premonizzato, il rapporto, ora illusorio ora catastrofico, dei popoli con la politica che li governa. Piazza degli eroi è una piazza universale senza tempo e senza luogo dove il dittatore con la sua voce e il suo giogo sovrasta ogni speranza e si alterna al dolore di chi ha perso o non riconosce più le armi per combatterlo.

Al fatto di aver rappresentato finalmente in Italia un esempio di teatro politico di grande levatura, Andò aggiunge, e lo dichiara, che è il “momento giusto e opportuno perché si faccia”.  E trova la chiave, nella direzione di “una cifra esistenziale e metafisica” assonante con lo scrittore stesso. Fa del prof. Schuster, del suo ritorno a tutti i costi in Austria dopo un lungo esilio in Inghilterra, fa dell’appartamento comprato contro il volere della moglie con le immense finestre che si aprono e chiudono di fronte alla piazza degli orrori, fa del suo suicidio lucidamente scelto, quasi una parabola. Che travalica il dramma e che ha più volte ha esiti eccellenti. Il professore che non c’è più è sempre di scena. Sin dall’inizio, attraverso un puntuale, minuzioso quasi delirante monologo, tra affetto e rimpianto, della governante interpretata dall’ottima Imma Villa. Monologo perché alla giovane cameriera goffa e piegata che è con lei, e che come apprenderemo in seguito, da un quadro familiare complesso e doloroso, vien lasciato, a parte qualche dolente balbettio, solo il compito di ripulire le tante paia di scarpe, vera mania del padrone scomparso. Come la piega perfetta alle tante camicie dentro e fuori i cassetti. Frattanto un pianoforte in angolo vede in azione un uomo, un fantasma che suona forse Schumann o Chopin e che dovremmo considerare il professore stesso. Anche perché il suo concetto di morte e vita, da matematico e filosofo come Bernhard fu, trascende il dolore e rimane soluzione o scelta e in qualche modo presenza. Quando la scena si riempie di personaggi – familiari, amici – è Robert, il fratello, che senza pausa o abbassamento di tono lancia un lungo veemente e rabbioso attacco contro tutto e contro tutti. Sovranisti e populisti – vocaboli attuali ma che non stonano certamente all’interno del sermone. Non c’è un filo di speranza, non c’è scampo. C’è il senso della piazza degli eroi, del suicidio del professore e di un dichiarato distacco.

Interprete è Renato Carpentieri, davvero magnifico, solo a lui poteva affidarsi questo momento bello e difficile dove una sorta di comizio fa da contraltare angosciante alle brutte pagine della piazza rumorosa. Robert inquadra ogni elemento di una condizione di vita dove il trionfo di un nazismo che ritorna e di un antisemitismo che ricalca il passato non consentono futuro. Ma chi ha subito interamente sulla sua pelle quella stagione, come anche la vedova Schuster che rimane inesorabilmente travolta in ogni maniera dalle urla della piazza, dal simbolo oltraggioso di un fallimento, è ben diverso dai più giovani: una figlia nega di aver subito sputi in piazza perché ebrea; le dà man forte la sorella desiderosa di “vita”, mentre il fratello, vago e superficiale, che non dispera in relazioni e modalità di azione nuove. C’è una linea di resecazione. La piazza intanto rimane simbolo oscuro che noi dopo cinquant’anni e oltre dal testo vibrante e minaccioso di un grande come Bernhard, non sappiamo se stiamo in qualche modo ancora calcando.

Intenso, perfettamente coeso il lavoro di scena e l’interpretaziome dei personaggi, perfettamente rispondenti le fotografie di scena di Lia Pasqualino.

Fonte: corriere.it