Margherita Cottone
“Fare e disfare storie è la mia occupazione preferita”, asserisce l’io narrante del racconto Aprile. Per la vita, il quarto contenuto nel volume Dodici, scritto da Eleonora Chiavetta e pubblicato in piena pandemia dalla casa editrice Calibano. Anglista siciliana, già autrice di numerosi saggi e curatele, di raffinate traduzioni, ma anche di brevi incursioni nell’ambito della narrativa, Eleonora Chiavetta ci regala dodici racconti, uno per ogni mese dell’anno, nei quali affiora proprio il piacere del raccontare, del “fare e disfare storie” con mano leggera e sottile sapienza. Attraverso uno stile pacato dall’andamento musicale l’autrice ci introduce ora nell’atmosfera rarefatta di un lontano passato ora in quella più inquieta del nostro presente, raccontando storie in cui si alternano e s’intrecciano due temi fondamentali: l’amore (tra uomini e donne, figli e padri, o anche amiche o semplicemente per la vita) e la pittura, come dichiara lei stessa nella prefazione al volume. In alcuni casi i due temi si fondono poiché è proprio l’amore per la pittura il centro dell’assunto narrativo. All’interno di questi due nuclei tematici, affiorano però, a mio avviso, altre e più complesse problematiche che ritornano come dei leitmotive: il rapporto tra anima e corpo, tra vista e cecità, tra essere e apparire.
Ut pictura poesis, dicevano gli antichi, principio che la modernità ha messo in crisi, ma a cui non si può fare a meno di pensare leggendo questi testi in cui l’immagine vista e raccontata ha un ruolo così importante. In alcuni di essi infatti quadri famosi e no, reali o immaginari mettono in moto il dipanarsi del racconto spingendo i protagonisti a riflettere su stessi e sulla propria vita e a cercare assonanze e similitudini, come per esempio il primo che apre la raccolta, Gennaio. Pattinatori sul ghiaccio, un quadro di Jan Wildens, o anche il penultimo, Novembre. La donna triste, ispirato al quadro di James Ensor, “La dame Sombre”, titoli che ci fornisce nelle note la stessa autrice. La loro vista aiuta chi li guarda a vedere se stesso e a comprendere il senso o il non senso della propria vita. Che l’arte abbia questo scopo viene detto chiaramente nel settimo racconto Luglio. Notturno, da Ludovico, un pittore intento ad affrescare una “Danza macabra” nella chiesa di San Vigilio: “Capisci Soave, diceva alla figlia, “questo è il vero compito nostro. Fare aprire gli occhi a coloro che sono ciechi o addormentati”.
Anche l’amore, declinato in tutte le sue forme, l’altro tema che informa questi racconti, è un’arte che si apprende, insegnandoti a vedere l’altro, a scoprirlo anche in un freddo cimitero, come accade in Aprile. Per la vita. In alcuni casi, invece, come nel racconto Settembre, Bambino con grembiule rosso, sarà l’amore improvviso per l’arte a liberare dalla solitudine il protagonista, un uomo ossessionato dalle liste, e ad aprirlo al mondo e all’amicizia.
Sia l’amore che la pittura implicano dunque in qualche modo l’“imparare a vedere”, un tema che sarebbe piaciuto molto a Rilke. E il tema della vista/ cecità, infatti, è ricorrente in molte di queste storie, a partire dalla prima in cui la “gelosia” di Pietro, il protagonista, è una passione “demoniaca” che acceca chi ne è vittima. Ciechi sono pure il marito e il figlio di Lidia, la protagonista di Ottobre. Miopia, un titolo appropriato alla loro incapacità di comprendere chi si nasconde dietro la mite figura femminile che hanno vicino, la sua vera natura passionale e “invisibile” agli altri. Totalizzante e passionale è, in Agosto. Insonnia, anche l’amore di Sara, una sognatrice che ha scoperto il piacere del corpo, la donna “segreta” che non aveva mai voluto vedere in sé e che la “miope” e pragmatica amica Giuliana può solo invidiare. E invisibile e non veramente conoscibile, come l’isola che guarda da lontano, è ancora Viola in Giugno. Velo di Tulle, avvolta in un “bozzolo” di castità, stato di cui né il marito né il figlio si accorgono e di cui spera di liberarsi attraverso il fuoco della passione, poiché “non vuole più
ordine, ma pericolo”.
Nella maggior parte di questi racconti i personaggi – o meglio le “personagge”, perché ci troviamo per lo più davanti a figure femminili – si trovano di fatto di fronte ad un momento critico della loro vita che le costringe finalmente a “vedere” e a “farsi vedere”, dunque a fare delle scelte o a prendere delle decisioni come accadrà appunto a Viola, in Giugno. Velo di tulle o alla piccola e muta Soave in Luglio. Notturno, che in una notte cerca di cambiare l’immagine negativa dell’affresco paterno, ma anche al giovane apprendista Noè che, nel racconto Marzo. Fior di pervinca, impara “a riempirsi gli occhi d’immagini” della natura e poi a riprodurle in pittura. D’altra parte il “dodici” che nell’intenzione di Eleonora Chiavetta si riferisce ai dodici mesi dell’anno, ha anche un significato simbolico, in quanto numero legato all’idea del passaggio, della crescita, della trasformazione: e non a caso nell’ultimo di questi racconti, Dicembre. Recita di Natale, saranno proprio le immagini sacre della nascita, morte, e resurrezione scoperte per caso nella Cripta della Santissima Annunziata di Jelsi (fatto realmente avvenuto e a cui il racconto su una compagnia di teatranti liberamente si ispira), a fornire un timido e pacato messaggio di speranza e di salvezza, in cui tutti sembrano riconoscersi. Un piccolo libro, ma con tante piacevoli sorprese.
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