Jahan Malek Khatun

 

 

Vittoria Marsala

A distanza di poche ore dal ritorno in Italia della giornalista Cecilia Sala dal carcere di Evin a Teheran, arriva la sentenza definitiva della condanna a morte di Pakhshan Azizi, operatrice umanitaria e attivista curda arrestata nella capitale iraniana il 4 agosto del 2023. Parastoo Ahmadi è stata detenuta poi rilasciata dopo aver condiviso su youtube un video in cui immaginava di poter fare un concerto, la legge è chiara: una donna in Iran non canta in pubblico. 

Novembre scorso tutto il mondo ha seguito in diretta l’arresto di Ahou Daryaei che si è spogliata in risposta ai maltrattamenti della sicurezza universitaria perché non indossava il velo.

Non è questa la sede in cui lamentare la recente e sempre più ingombrante assenza degli organi giuridici internazionali volti alla prevenzione e all’annientamento di genocidi, di guerre e, nel complesso, di violazioni più o meno gravi della dichiarazione universale dei diritti umani. Né, tantomeno, è utile perseverare nel domandarsi il perché dell’inerzia da parte dei governi.

Pensare da qui (dove qui, nel pensiero, è qualsiasi altro paese con una storia socio-politica e culturale diversa) la vita di una donna in Iran è difficile. Mi ricorda il racconto “La cattedrale” di Raymond Carver, in cui il protagonista chiede ad un cieco di disegnare una cattedrale e lui una cattedrale non l’ha vista mai. 

Gli arresti, le torture e le condanne a morte inflitte a coloro che infrangono o offendono i valori preservati dalla polizia morale sono tutte pene previste dalla costituzione iraniana, che come accade nelle repubbliche Islamiche, si basa sulla legge della Shari’a (شريعة) che in arabo significa “strada rivelata (da Allah)”. Si tratta di un sistema giuridico in cui potere temporale e spirituale sono la stessa cosa, e non è culturalmente e linguisticamente concepibile una possibilità di scissione.  La carica di Ayatollah (‎آية الله‎) che sia in arabo che in persiano vuol dire “segni di Dio” riveste infatti il ruolo di guida suprema in ogni ambito della vita pubblica e privata, responsabile morale, religioso, politico e sociale.

Mi colpisce e rifletto sul come venga meno per le donne il diritto autodeterminarsi in quanto individui liberi di manifestarsi attraverso tutto quello che ha che fare con la sfera del sentire.

Non mi riferisco neanche all’obbligo d’indossare l’hijab, quanto più a quello che una donna è sotto o senza il velo. Il divieto assoluto di cantare in pubblico, o di parlare senza il consenso dell’uomo di riferimento, il divieto di esprimere opinioni e il diritto di andar contro. Ciò che da qui è difficile da immaginare è il buco nero in cui vanno a finire le passioni, i libri da leggere, i no da dire con fermezza o si sinceri, i desideri, l’io che sia io perché sono io.

Jahan Malek Khatun (in persiano جهان ملك خاتون) in italiano può essere tradotto con La dama del mondo. Nacque a Shiraz intorno agli anni venti del XIV secolo. Unica figlia sopravvissuta del re Masud Shah, che venne ucciso quando lei era ancora bambina, crebbe sotto la tutela dello zio Abu Es’haq. Gli anni di reggenza di Abu Es’haq costituirono un periodo di grande fertilità letteraria e culturale, e, nonostante i conflitti politici e religiosi, anche di relativa libertà.

Sono gli anni i cui scrivevano alcuni dei più grandi poeti mistici della letteratura persiana medioevale, come Hafez e Obayd-e Zakani, e tutti frequentavano con assiduità la corte di Shiraz. Fa sorridere accorgersi che la stessa cosa era avvenuta poco meno di un secolo in anticipo nelle corti italiane e francesi, che furono i luoghi in cui prese forma la tradizione poetica dell’amor cortese, dove l’amore è inteso come un’esperienza in bilico fra il desiderio erotico e la tensione spirituale.

Ecco, la poesia persiana medioevale non era poi così diversa. Quando la storia e la giurisprudenza non bastano a colmare le lontananze geografiche e culturali, spesso è facile avvicinarsi con l’arte e con la letteratura. Jahan s’inserisce da donna in un contesto letterario a maggioranza maschile, la poesia è lo strumento per raccontare quel luogo di estrema fiducia umana e spirituale che non si vede e che non si può toccare, si trova nell’interstizio sottile tra la realtà sensibile e il mondo delle idee. Possiamo dargli il nome di Dio, o chiamarlo emozione.

 

ALLA MANIERA DEI PAZZI

Jahan Malek Khatun 

Un sentiero, l’amare il tuo viso, dove sbadati ce ne andiamo, alla maniera dei pazzi ce ne 

andiamo per i crinali delle montagne. 

Vertiginoso sentiero di tornanti scosceso come i capelli dei belli,

 meglio sarebbe che ce ne andassimo sulla luna con l’immagine del suo volto. 

Dell’incontro nostro non m’arriva più alcun profumo alle narici,

 vieni qui cuore, incamminiamoci ancora per qualche passo. 

l’anima fatta scudo, ce ne andiamo verso il dardo di dolore.

Rovina per i popoli del mondo gli occhi suoi, cosa farò? 

Forse ce ne andremo più lontano, ben oltre la caduta.

Nella nostra terra non abbiamo avuto alcuna fortuna,

vieni cuore, vieni presto, ce ne andremo verso un’altra città.  

Oh dolcissima vita mia, mostra il volto tuo lunare

e ce ne andremo fuori di noi, trafitti dai tuoi raggi.

 

Il “canzoniere” di Jahan (in persiano Divan دیوان) conta più di 1400 ghazals, composizioni che per metrica e tematiche ricordano i sonetti italiani, è stato pubblicato per la prima volta in Iran nel 1995, circa seicento anni dopo essere stato scritto. Sono pochissime le scrittrici e le poetesse nella storia della letteratura persiana che, come lei, hanno avuto il privilegio raro di godere di uno spazio d’espressione. Nei versi di Jahan Malek Khatun, l’amato non è l’amato ma è anche l’amato; il corpo non è il corpo ma è anche il corpo, il paradiso non è il paradiso ma è anche il paradiso. La sua poesia è la manifestazione di un sentimento che tende al limite, in una sfida continua al vertice estremo dell’esperienza del sentire. La dimensione mondana è vincolata a quella ascetica e ideale e viceversa. Tra il sentire e il toccare c’è l’io perché sono io, ci sono i desideri, le passioni, i libri da leggere e i sogni. 

Quando pensiamo all’Iran, da qui, non dimentichiamoci della Dama del Mondo.